Secondo l'interpretazione del Consiglio dei commercialisti la tutela per avvocati e professionisti è stata introdotta dal Jobs Act degli autonomi che dichiara prive di effetto le clausole abusive

di Lucia Izzo - Secondo il Cndcec (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) l'equo compenso è già garantito ai liberi professionisti e il merito sarebbe dell'art. 3 della legge n. 81/2017 (Jobs Act del lavoro autonomo) che si occupa del divieto di abuso di dipendenza economica.


Sarebbe dunque già spianata la strada per garantire ad avvocati, commercialisti e liberi professionisti un equo compenso secondo tale interpretazione, ora apparirebbe unicamente necessario far riconoscere e rispettare la disciplina.


La nota stampa pubblicata dal Consiglio, definisce estremamente rilevante la norma introdotta dal Jobs Act degli autonomi, "un passo in avanti significativo per la difesa della dignità dei lavoratori autonomi italiani" e della necessità che questo "trovi una effettiva e diffusa applicazione".


A tal fine, il Segretario Nazionale Achille Coppola manifesta l'intenzione di "costituire una task force centrale pronta a fornire consulenza agli ordini territoriali" e di segnalare all'Antitrust "eventuali condotte abusive poste in essere da grandi operatori economici come banche e assicurazioni che impongono ai professionisti condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e discriminatorie".

Avvocati e professionisti: equo compenso nel Jobs Act

La norma summenzionata è dedicata alle c.d. "Clausole e condotte abusive" e dichiara prive di effetto una serie di clausole: in primis quelle che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto, nonché quelle sul recesso senza preavviso dai contratti aventi a oggetto una prestazione quantitativa e quelle che definiscono termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento.


In una nota stampa il Cndcec ha sostenuto che il divieto di abuso di dipendenza economica garantisce l'equo compenso poiché tale clausola farebbe venir meno la possibilità che i lavoratori autonomi vengano "sfruttati" e privati del giusto compenso che gli spetta.


Le clausole enumerate dalla norma, infatti, rappresentano i casi in cui si realizza uno squilibrio oggettivo del rapporto contrattuale. Il richiamo all'art. 9 della legge n. 192/1998, infatti, farebbe rientrare nelle clausole summenzionate anche quelle forme di abuso di dipendenza economica che impongono condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, ad esempio determinando un compenso iniquo o inadeguato rispetto alla qualità e quantità della prestazione.


Per il Consiglio, infatti, "sono senz'altro vessatorie le clausole che stabiliscono compensi ingiustamente bassi e non commisurati al lavoro svolto, ma lo sono anche quelle che impongono al lavoratore di anticipare le spese o ne escludono il rimborso oppure prevedono addirittura la gratuità di alcune attività".

All'uopo la norma stabilirebbe, infatti, anche il diritto al risarcimento danni per il professionista anche promuovendo tentativo di conciliazione innanzi agli organismi abilitati.


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