Il ddl in materia di equo compenso degli avvocati approvato dal Governo individua specificamente una serie di clausole contenute nelle convenzioni con i "clienti forti" che sono sempre considerate vessatorie

di Marina Crisafi - Il disegno di legge sull'equo compenso per gli avvocati, approvato il 7 agosto scorso dal Governo (leggi: "Approvato l'equo compenso per gli avvocati"), oltre a dettare una definizione specifica di equità, al fine di porre rimedio alle situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti forensi e clienti cosiddetti forti, sancisce una disciplina ad hoc destinata a tutelare, appunto, l'equità del compenso degli avvocati e ad impedire condotte di abuso contrattuale. Ciò attraverso l'individuazione di una serie di clausole considerate vessatorie e sanzionate con la nullità che opera solo a vantaggio dell'avvocato.

La definizione di equo compenso degli avvocati

Il disegno di legge definisce, innanzitutto, equo il compenso determinato nelle convenzioni tra gli avvocati e i clienti come banche e assicurazioni, "quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247".

Le clausole vessatorie

Il ddl, inoltre, stabilisce che si considerano vessatorie tutte le clausole contenute nelle convenzioni tra avvocati e clienti "forti", che determinano, "anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato".

Nello specifico sono considerate vessatorie, salvo che non siano state oggetto di trattativa ad hoc, le clausole che consistono:

- nell'attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;

- nell'anticipazione delle spese della controversia a carico dell'avvocato;

- nella previsione di clausole che impongono all'avvocato la rinuncia al rimborso delle spese;

- nella previsione di termini di pagamento superiori ai 60 giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;

- nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, al legale sia riconosciuto solo il minore importo previsto in convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano in tutto o in parte corrisposte o recuperate dalla parte;


- nella previsione che, in caso di nuova convenzione sostitutiva della precedente stipulata col medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se inferiore a quella prevista nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati.

Sono sempre considerate vessatorie, invece, a prescindere da qualsivoglia trattativa, le clausole consistenti:

- nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;


- nell'attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l'avvocato deve prestare a titolo gratuito.

La disciplina della nullità delle clausole vessatorie

Il ddl prevede che le clausole considerate vessatorie sono nulle e la nullità opererà "soltanto a vantaggio dell'avvocato".

La nullità definita come "parziale" rispetto all'intera convenzione garantisce il professionista forense giacché consente l'inefficacia della parte contrattuale o della singola clausola contraria alla legge, mentre il contratto rimane valido per il resto.

La determinazione giudiziale dell'equo compenso

Una volta accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una delle clausole a norma dell'art. 2, il disegno di legge prevede che il giudice dichiari la nullità della o delle clausole contra legem e "determina il compenso dell'avvocato tenuto conto dei parametri previsti dal dm giustizia adottato ai sensi dell'art. 13, comma 6, della legge n. 247/2012" che sono già destinati ad operare nei casi in cui manchi una valida pattuizione tra le parti.


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