di Valeria Zeppilli - Anche vietare alla moglie di utilizzare mascara, rossetto o altri trucchi o impedirle di vestirsi in un certo modo è un comportamento che, se assume determinate caratteristiche, può configurare reato: in particolare, quello di maltrattamenti in famiglia.
Qualche anno fa, infatti, un uomo è stato condannato dalla Corte di cassazione (cfr. sentenza n. 30809/2004) per tale illecito proprio per aver vietato alla sua compagna di "truccarsi, vestirsi e pettinarsi come suo gusto". Si trattava, più precisamente, di una condotta che si aggiungeva ad altri atteggiamenti da padrone tenuti dall'uomo e che integrava una vera e propria forma di maltrattamento nei confronti della consorte.
I maltrattamenti in famiglia
In effetti, i maltrattamenti in famiglia sono un'ipotesi di reato che si configura ogniqualvolta un soggetto, genericamente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte (vai alla guida: "Il reato di maltrattamenti in famiglia").
L'oggetto giuridico non è quindi rappresentato solo dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia, ma anche dalla difesa dell'incolumità sia fisica che psichica delle persone indicate dall'articolo 572 del codice penale.
Le condotte
Le condotte idonee a integrare il reato, anche per tale ragione, se singolarmente considerate potrebbero anche non costituire reato, ma la reiterazione nel tempo le riconduce nell'area dell'antigiuridicità penale.
Si comprende, insomma, come impedire a una donna di truccarsi o vestirsi in un certo modo, così limitando la sua libertà di scelta e autodeterminazione, è un comportamento che isolato non assume alcuna rilevanza penale, ma se protratto e condotto con la coscienza e la volontà di sottoporre la donna a una serie di sofferenze morali che ne ledono complessivamente la personalità diviene illecito e penalmente sanzionabile.
Del resto, come chiarito dalla Corte di cassazione già da tempo con la sentenza numero 8396/1996, nello schema del delitto di maltrattamenti in famiglia non vanno ricondotte solo le percosse, le lesioni, le minacce, le ingiurie e le privazioni: integrano il reato di cui all'articolo 572 del codice penale, infatti, anche gli atti con i quali si disprezza la vittima e la si offende nella sua dignità e che, in quanto tali, si risolvono in vere e proprie sofferenze morali.
Per aversi reato non è insomma indispensabile che i maltrattamenti lascino delle tracce, ma è sufficiente che gli stessi producano sensazioni dolorose.
Si capisce bene, quindi, come frustrare la personalità di una donna, impedendole continuamente di estrinsecarla liberamente, può trasformarsi in un delitto.