Un'importante rilettura dell'articolo 1350 del codice civile

di Gianluca Giorgio - La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 7638 del 18 aprile 2016 ha ribadito, con un'interessante pronuncia, ciò che pertiene ad un requisito funzionale del contratto. Dunque ciò di cui si occupa il provvedimento giurisdizionale attiene alla modalità con la quale è possibile, per le parti, realizzare lo scioglimento dell'accordo.

Il caso di cui si discute attiene a due soggetti i quali hanno stipulato un contratto di locazione. Su tale accordo, il locatore per un dato periodo di tempo non ha, prontamente, richiesto i prescritti canoni. Dunque rilasciato il bene, lo stesso ha richiesto, con decreto ingiuntivo, all'altra parte contraente, la restituzione delle somme. Secondo parte resistente tale semplice omissione aveva caratterizzato la risoluzione dell'accordo in quanto rappresentava una forma di scioglimento dello stesso seppur per tacita acquiescenza.

Giunta all'attenzione dei giudici di piazza Cavour, la questione è stata risolta, coerentemente, applicando i principi generali che attengono al diritto civile, ben confrontando le norme in relazione alle forme di risoluzione, operanti nei rapporti contrattuali e contenute nel nostro codice .

Difatti, a ben leggere l'art. 1350 c.c, esso richiama, alla nostra attenzione, che la risoluzione del contratto

deve seguire le stesse forme con le quali è stato raggiunto quell'effetto. Dunque se, nel contratto di locazione, la forma scritta è quella che produce esplicitamente la conclusione dell'accordo anche la risoluzione deve avere il medesimo requisito. Ma già all'articolo 1325 c.c al quarto comma si ribadisce che se la forma è prescritta dalla legge qualsiasi vizio sulla stessa ne produce la nullità. Le norme, se lette in combinato disposto, sono chiare: la forma per il raggiungimento di un effetto se, tipicamente prevista da una norma, dovrà essere rispettata se si vogliono raggiungere gli effetti posti in essere dalle parti.

Il decisum è logicamente sorretto anche dalla considerazione che la forma, nel contratto

civilistico, non è un presupposto accessorio all'accordo ma è la veste giuridica che fa scaturire, determinati e specifici, effetti. Anche nel Diritto romano, i contratti avevano rilievo giuridico solo in presenza di forme specifiche("certa verba") che davano validità allo stesso. E tale principio ripreso da tale considerazione storica, conferma come la forma rappresenta non solamente l'esternazione di una volontà ma anche il fine teleologico e specifico degli effetti che si vogliono raggiungere.

Per quanto su esposto è logica conseguenza che la risoluzione consensuale del contratto locatizio, per essere valida ed effettiva, necessita della forma scritta in quanto deve seguire le stesse forme di conclusione dell'accordo. Dunque anche la risoluzione del contratto dev'essere fatta con la stessa forma dell'accordo principale.


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