Anche se la sentenza non lo prevede espressamente, il contributo pagato va restituito alla parte vittoriosa. I chiarimenti del Ministero

di Lucia Izzo - Anche se la sentenza non lo prevede espressamente, la parte soccombente del giudizio deve restituire a quella vittoriosa la somma corrisposta a titolo di contributo unificato. Inoltre, solo al contribuente non titolare di partita IVA sarà concessa la corresponsione anche dell'imposta sul valore aggiunto sulla somma dovuta a titolo di rimborso spese legali.


Sono questi alcuni dei quesiti su cui il Ministero dell'Economia ha fornito risposta in occasione di Telefisco 2017, iniziativa del Sole24Ore.

Il contributo unificato

A seguito delle modifiche, previste dalla legge 23/2014 e attuate dal d.lgs. 156/2015 (in vigore dal 1° gennaio 2016), all'art. 15 del decreto 546/1992 è stato aggiunto un nuovo comma 2-ter: questo stabilisce che "Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'imposta sul valore aggiunto, se dovuti".

Nonostante a volte il giudice, nel condannare alle spese l'Agenzia delle Entrate, faccia uso nel dispositivo di dizioni generiche che non sembrano precisare se la "somma complessiva" relativa al pagamento delle spese di giudizio comprenda o meno anche il contributo unificato, il Ministero ha sottolineato che chi perde in giudizio deve sempre restituire le somme corrisposte a tale titolo anche se non espressamente previsto dalla decisione del giudice.


Cio è avallato da un consolidato orientamento giurisprudenziale (tra cui Cassazione n. 2691/2016 e 18828/2015) originato dai numerosi ricorsi ex art. 391-bis c.p.c. (correzione di errore materiale) avanzati per la rettifica di simili sentenze prive della menzione quanto alla restituzione del contributo unificato.


Pertanto, se nel provvedimento il giudice condanna alle spese giudiziali, ma omette ogni riferimento al corrispettivo a titolo di contributo unificato da versare alla parte vittoriosa, la condanna dovrà estendersi implicitamente includendo la restituzione dell'importo del contributo versato che andrà aggiunto alla somma stabilita dal giudice.

L'Iva e il contributo previdenziale

Il Ministero ha altresì chiarito che, laddove il giudice condanni il fisco al rimborso spese direttamente al contribuente vittorioso piuttosto che al suo difensore, l'importo si diversifica in base alla titolarità o meno di partita IVA in capo al contribuente.


In effetti, il nuovo comma 2-ter dell'art. 15 d.lgs. 546/1992 prende in considerazione, tra le spese di giudizio, anche contributo previdenziale e imposta sul valore aggiunto, ma solo "se dovuti".


Se il contribuente vittorioso contro il fisco è soggetto all'IVA e se il giudizio inerisce la professione o l'attività d'impresa, il contribuente vittorioso non potrà pretendere l'IVA, anche se gli è stata addebitata dal difensore, ma solo il rimborso di onorari e spese. La motivazione si regge sull'assunto che l'imposta fatturata dal difensore non costituisce per lui un costo effettivo, essendo detraibile


Diversamente, se questi non è un soggetto passivo IVA, dovrà maggiorarsi dell'IVA l'importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali, non essendo effettuabile alcuna detrazione (sul punto, le pronunce della Cassazione n. 13659/2012 e n. 2474/2012). 


Per i contributi previdenziali per la cassa avvocati, anch'essi onere accessorio conseguente al pagamento degli onorari per l'attività prestata dal difensore, è prevista la piena rimborsabilità, a prescindere dalla qualità dell'assistito che ne sopporta il costo, non essendovi alcuna detraibilità.


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