di Valeria Zeppilli - Vendicarsi nei confronti della ex bucando le ruote della sua auto è un comportamento che può essere punito in maniera pesante. Se, infatti, si esagera è possibile addirittura la condanna per stalking.
E proprio per tale fattispecie di reato dovrà rispondere in via definitiva un uomo piemontese, dopo che anche la Corte di cassazione, con la sentenza numero 52616/2016 depositata il 13 dicembre (qui sotto allegata), ha confermato che il suo comportamento nei confronti di una vecchia conoscente, o meglio nei confronti dei suoi pneumatici!, integra la fattispecie di atti persecutori.
Nel caso di specie, ad aver avuto un peso rilevante nella determinazione della condanna è stato il numero esagerato di volte in cui l'automobile della donna è stata aggredita dall'imputato: per cinquantuno volte nell'arco di meno di un anno, infatti, l'uomo si è appostato nei pressi del veicolo e ne ha bucato le gomme. Per cinquantuno volte, la vittima non ha quindi potuto utilizzare il suo mezzo.
Come accennato, già il giudice del merito aveva ritenuto il numero "esorbitante" dei danneggiamenti posti in essere in danno della donna e la loro "reiterazione ossessiva" elementi idonei a provocare in capo alla vittima sia l'effetto di molestia che quello di minaccia futura. Non solo infatti ella si era trovata costretta a subire i ripetuti danni, ma poteva anche presagire ragionevolmente che ve ne sarebbero stati altri analoghi.
Nel corso del giudizio, peraltro, era stato ampiamente dimostrato il cambiamento delle abitudini di vita della donna, che aveva preso l'abitudine di farsi accompagnare sempre da qualcuno che la proteggesse e che aveva iniziato a soffrire di disturbi dell'umore, tanto da doversi sottoporre ad apposite terapie.
Dinanzi a tale quadro, nessuna delle doglianze prospettate dal ricorrente alla Corte di cassazione è quindi andata a buon fine: questi dovrà scontare la condanna alla pena di giustizia, oltre che pagare le spese del giudizio di legittimità e duemila euro in favore della cassa delle ammende.
Corte di cassazione testo sentenza numero 52616/2016• Foto: 123rf.com