Concordi i giudici italiani, i documenti prolissi violano il giusto processo e ledono il diritto al contraddittorio

di Lucia Izzo - Stop ai documenti prolissi, alle lungaggini fini a se stesse che danneggiano il giusto processo e ledono il diritto al contraddittorio. La necessità di atti sintetici nel processo civile non è un mero principio formale, ma assurge a vero e proprio canone da rispettare sia per i giudici che per gli avvocati, nell'era del processo telematico.


Ne dà conferma l'art. 16-bis comma 9-octies del D.L. n. 179 del 2012, come modificato dal D.L. 83/2015 conv. nella L. 132/2015: "Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica". Per gli atti amministrativi, invece, si rimanda al d.p.c.s. n. 40/2015, ma il rispetto delle regole della sintesi e della chiarezza è propugnato su più fronti anche dalla giurisprudenza.


Emblematica sul punto la sentenza n. 11199/2012 della Corte di Cassazione, che si era trovata ad affrontare un ricorso di ben 64 pagine a cui si era aggiunta una memoria illustrativa di altre 36 che non faceva altro che reiterare quanto precisato nel ricorso principale (per approfondimenti: L'avvocato che scrive atti troppo lunghi viola il principio del giusto processo)


Per gli Ermellini, viola il giusto processo l'avvocato che trascrive nel proprio atto processuale le precedenti difese, le sentenze dei precedenti gradi, le prove testimoniali, la consulenza tecnica e tutti gli allegati; il giusto processo richiede, infatti, trattazioni sintetiche e sobrie, anche se le questioni sono particolarmente tecniche o economicamente rilevanti


L'avvocato prolisso va a violare uno dei principi cardine del nostro sistema giuridico, quello relativo al giusto processo ex art. 111 della Costituzione, che ha lo scopo di garantire la celerità del processo: solo atti brevi, chiari e precisi, sostanzialmente sintetici, sono idonei a realizzare una simile celerità.


Anche il Tribunale di Milano, nella successiva ordinanza del 1° ottobre 2013, ha ribadito la contrarietà di atti lunghi e privi di contenuti sostanziali al principio del giusto processo: si tratta di quegli atti depositati dalle parti che, rispetto alle precedenti difese ed al thema decidendum, non introducono elementi di particolare differenziazione o novità


Richiamando la giurisprudenza di legittimità, nella sentenza summenzionata, il Tribunale meneghino rammenta che "la particolare ampiezza degli atti certamente non pone un problema formale di violazione di prescrizioni formali, ma non giova alla chiarezza degli atti stessi e concorre ad allontanare l'obiettivo di un processo celere che esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio". 


Non è un caso, evidenzia il giudicante, che la più recente codificazione processuale italiana, il codice del processo amministrativo (v. decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, di attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) abbia introdotto nel "processo" (art. 3) un Principio comune ad altre Codificazioni Europee: il "dovere di motivazione e sinteticità degli atti", sia del giudice che delle parti.


Anche la Corte d'Appello di Milano è tornata sul tema della sinteticità degli atti processuali, nella recente ordinanza del 14 ottobre 2014, dopo essersi trovata di fronte a un'impugnazione particolarmente corposa: l'appello era stato esposto in 172 pagine e ciascuna delle tre comparse di risposta dei convenuti principali si era sviluppata in una parte centrale più ampia di 541 pagine, oltre alle pagine introduttive e finali di un'altra ventina pagine.


La lunghezza degli atti, chiarisce la Corte territoriale, contrasta con la regola che gli atti del processo civile devono essere redatti in forma concisa; la concisione è funzionale alla tutela del diritto di difesa e del contraddittorio e ha lo scopo di rendere intelligibili gli argomenti difensivi e le domande e le eccezioni sia a ciascuna delle altre parti, sia al giudice, nell'osservanza della regola della specificità e della autosufficienza degli atti.


Il dovere della concisione degli atti è stato affermato, evidenzia il collegio, anche dal Consiglio Nazionale Forense (vd. CNF 27/05/2013, n. 83) e trova riconoscimento normativo  sia nell'art. 3, comma 2, D.Lgs. 02/07/2010, n. 104, sia nell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. 


Tale dovere è statuito per implicito anche dal nuovo testo dell'art. 342 c.p.c.: la norma, sancendo l'onere dell'appellante di indicare le "modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto", nonché "le circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata", rappresenta una esplicazione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti.


La "chiarezza" e "sinteticità" degli atti di parte, si pone in conformità anche rispetto a indirizzi già presenti sia in ambito sovranazionale che in ambito nazionale: si possono vedere in merito le istruzioni pratiche per la instaurazione del procedimento nel sito della Corte Europea dei diritti dell'Uomo -  CEDU, che considera il caso in cui il ricorso ecceda le 10 pagine 'eccezionale' e impone al ricorrente di contestualmente presentare un breve riassunto dello stesso.


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