Negare l'accesso anche dopo la morte della madre porterebbe all'irreversibilità del segreto con la definitiva perdita di un diritto fondamentale del figlio

Dott.ssa Federica Morabito - La Corte di Cassazione, con pronuncia n 15024 del 21 luglio 2016, si è nuovamente espressa sul complicato e attuale tema del diritto del figlio a conoscere le proprie origini e ad accedere ai dati personali della madre biologica.

In tale occasione, nello specifico, una donna aveva fatto istanza al Tribunale per i minorenni, chiedendo di poter accedere ai dati riguardanti la madre ed il parto contenuti nella cartella clinica relativa alla sua nascita.

Il Tribunale per i minorenni, dapprima ha accolto l'istanza, ma, una volta ottenuta la documentazione, la ha successivamente respinta; ciò perché, la madre era oramai deceduta e secondo il Tribunale il decesso di quest'ultima non può essere considerato revoca implicita della volontà di non essere nominata.

L'istante ha così proposto reclamo in Corte d'Appello che, tuttavia, è stato respinto.

La Suprema Corte, chiamata dunque a pronunciarsi sul punto, affronta l'argomento illustrando quanto il diritto del figlio a conoscere le proprie origini abbia ampio riconoscimento a livello internazionale.

Il tema trattato, presenta molti rischi ed insidie, ad essere in gioco sono i sentimenti e le vite dei soggetti coinvolti; si entra, dunque, nella sfera del personalissimo, per cui è necessaria una profonda riflessione che non trascuri la dovuta protezione per gli interessi dei singoli.

Difatti, il diritto del figlio a conoscere le proprie origini sembra essere, a primo avviso, in netta contrapposizione, con il diritto della madre a rimanere anonima.

E' importante tener conto, delle condizioni e delle circostanze per cui una donna decide di portare a termine una gravidanza e partorire, ma alla quale l'ordinamento garantisce di tutelare nel corso della sua vita la segretezza sulla maternità biologica.

Di tali circostanze è ben consapevole la Corte di Strasburgo che, nel caso Odièvre contro Francia, ha riconosciuto, agli Stati aderenti alla Convenzione, la possibilità di dare all'anonimato tutela, garantendo però la salvaguardia della salute della madre e del bambino, nonché, impedendo che le condizioni personali della donna la possano indurre ad abortire e soprattutto la costringano ad aborti clandestini e ad abbandoni selvaggi del bambino.

La Corte internazionale ha riconosciuto alla Francia la capacità di contemperare gli interessi in oggetto, in quanto pur confermando il diritto della donna di partorire mantenendo segreta la propria identità, ha istituito un organismo ad hoc (Consiglio nazionale per l'accesso alle origini personali) nato con lo scopo di gestire la reversibilità del segreto, interpellando la madre sulla richiesta del figlio.

Per quanto sia apprezzabile la soluzione francese, la stessa Suprema Corte, nella pronuncia in commento, non nasconde i propri dubbi a riguardo; resta da chiarire quanto tale strumento possa realmente bilanciare gli interessi di entrambe le parti, in quanto sembra piuttosto celare il rischio di rimettere la scelta sulla reversibilità del segreto interamente alla madre ed in tal frangente non è possibile parlare di contemperamento tra diritti.

L'Italia, d'altro canto, è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza Godelli contro Italia (ricorso n. 33783/09), per la mancata previsione nell'ordinamento di un meccanismo di bilanciamento, capace di tener conto delle contrapposte esigenze al fine di raggiungere un equo contemperamento degli interessi coinvolti.

Successivamente alla sentenza Godelli, la Corte Costituzionale è intervenuta in questa materia con la pronuncia n.278/2013, dichiarando la "illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia),…nella parte in cui non prevede, attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non volere essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'art. 2, comma 12, l. 15 maggio 1997 n. 127) su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione".

La Corte Suprema, consapevole della pronuncia di incostituzionalità appena citata, ha ribaltato l'interpretazione data dal Tribunale per i minorenni sull'irreversibilità del segreto in caso di decesso della donna.

Difatti, la Corte, dissenziente, argomenta sostenendo che qualora si sposasse la tesi suddetta dell'immobilizzazione della scelta post mortem, l'effetto sarebbe paradossale, in quanto verrebbe a realizzarsi non solo "un affievolimento, se non la definitiva scomparsa, di quelle ragioni di protezione, risalenti alla scelta di partorire in anonimo" ma anche "la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio a conoscere le proprie origini".

Decidere in senso inverso comporterebbe il rischio di recare danni non riparabili ad un diritto fondamentale; in ragione di ciò la Suprema Corte ha riconosciuto, al figlio, il diritto a conoscere le sue origini dopo la morte della madre che quando lo partorì decise di rimanere anonima.

Dott.ssa Federica Morabito

Studio Legale Aschi

fmorabito.law@gmail.com


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