Dal contenuto e dalla diffusione della denuncia e dallo svolgimento delle indagini penali può infatti derivare una lesione della sfera personale della vittima
di Valeria Zeppilli - Se a seguito di un'accusa sporta ingiustamente si è stati indicati come vittima di un certo tipo di reato, è possibile chiedere ed ottenere il risarcimento del danno subito.

Si pensi, infatti, al caso sul quale si è pronunciata la Corte di cassazione con la sentenza numero 5958/2016, depositata il 25 marzo e qui sotto allegata.

C'è uno zio che, anonimamente, invia al Tribunale per i minorenni uno scritto nel quale denuncia che sua nipote avrebbe subito abusi sessuali da parte del padre, cognato del mittente.

Le accuse, però, sono infondate e la ragazza, divenuta maggiorenne, si rivolge al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno aquiliano subito in ragione dell'invio della missiva, nella quale l'atteggiamento abusante veniva descritto con dovizia di particolari scabrosi, dello svolgimento di indagini penali a carico del padre, dello stato di prostrazione e costernazione della ragazza di fronte ad accuse inveritiere e della lesione del suo diritto all'onore, con conseguente danno morale.

Le Corti di merito danno ragione alla ragazza, ma lo zio non ci sta e si rivolge alla Cassazione, che, però, non fa altro che confermare la condanna.

Per i giudici della terza sezione civile è infatti ineccepibile la conclusione alla quale la Corte d'Appello è giunta circa la riconducibilità dell'illecito aquiliano alla lesione dell'onore, della reputazione e dell'incolumità fisica e psichica della ragazza a seguito dell'invio della denuncia da parte dell'uomo.

È inoltre corretta anche la conclusione circa l'irrilevanza dell'assoluzione del convenuto in sede penale dal reato di calunnia. Per i giudici, l'onere probatorio dell'attrice si è atteggiato in maniera coerente rispetto a quanto disposto dall'articolo 2043 del codice civile: la ragazza, infatti, era tenuta a provare non il dolo di calunnia ma l'illecito e la colpa del responsabile.

Del resto, in presenza dell'elemento soggettivo della colpa, se dal contenuto e dalla diffusione della lettera e dallo svolgimento delle indagini penali estese, ovviamente, anche alla presunta vittima in quanto persona offesa è derivata una lesione della sfera personale di quest'ultima, non può negarsi la sussistenza di un danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile.

Il ricorso dello zio, insomma, va rigettato, con condanna al pagamento delle spese del relativo giudizio. Senza contare che, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115 del 2002 sussistono anche

i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Corte di cassazione testo sentenza numero 5958/2016
Valeria Zeppilli

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