Se alla lavoratrice non piace il pesce, il rifiuto è lecgittimo e l'azienda deve trovare soluzioni alternative

di Lucia Izzo - Può la lavoratrice essere licenziata se rifiuta di lavorare al banco del pesce, in quanto lamenta una certa idiosincrasia per i prodotti ittici?

Secondo la Cassazione la risposta è negativa: anche se non rispetta le disposizioni aziendali, la cooperativa proprietaria della struttura commerciale deve trovare soluzioni alternative se la dipendente ha manifestato una certa reticenza a maneggiare i prodotti ittici. Il licenziamento appare una misura eccessiva e pertanto illegittima.

È quanto emerge dalle sentenza 4502/2016 (qui sotto allegata) della sezione lavoro della Corte di Cassazione, che rigetta il ricorso promosso da una Cooperativa di Consumo.

La società aveva licenziato una lavoratrice in conseguenza del suo reiterato rifiuto a eseguire le disposizioni aziendali impartite (svolgere i turni di servizio al banco del pesce).

Mentre il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistenti i fatti e ingiustificato il rifiuto, appare diverso l'esito in appello: la Corte territoriale, infatti, nell'accogliere il gravame dichiarava l'illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra nel posto di lavoro e con condanna della società cooperativa al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dal momento del recesso sino all'effettiva reintegra

Per la cassazione di tale sentenza, la società cooperativa evidenzia come il giudice di seconde cure abbia erroneamente ritenuto certa la conoscenza dell'azienda in ordine ai (dedotti) problemi di salute o di incompatibilità della lavoratrice nel contatto col pesce, nonostante quest'ultima non avesse mai prodotto alcun certificato medico attestante tale incompatibilità.

Pertanto legittimamente l'azienda aveva provveduto allo spostamento della lavoratrice presso il reparto pesce (nel rispetto della qualifica posseduta), ed altrettanto legittimamente aveva sanzionato il relativo rifiuto della donna di eseguire la prestazione essendo questo comportamento illegittimo laddove il datore di lavoro adempia a tutti gli obblighi nascenti dal contratto (pagamento della retribuzione e rispetto dell'inquadramento).

In realtà, evidenziano i giudici, il datore di lavoro avrebbe dovuto tener conto della "idiosincrasia per il pesce" che la lavoratrice aveva comunicato in occasione di una precedente riunione: è inesistente un obbligo della lavoratrice a documentare sanitariamente la sua personale impossibilità (o estrema difficoltà) di svolgere il lavoro presso il reparto pesce.

Semmai, si sarebbe dovuto imporre alla cooperativa di far valutare l'idoneità delle nuove mansioni affidate alla lavoratrice, rilevando a questo punto, come esattamente evidenziato dalla sentenza impugnata, gli obblighi di sicurezza (art 2087 c.c.) e di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (art 1375 c.c.).

Questi avrebbero imposto alla datrice di lavoro, una volta informata della incompatibilità o seria difficoltà da parte della lavoratrice a svolgere il lavoro presso il reparto dei pesce (circostanza ritenuta sostanzialmente pacifica, e comunque confermata dalla riunione svoltasi in cui pacificamente si parlò della difficoltà donna di lavorare a contatto col pesce), di adottare le misure alternative e possibili al licenziamento.

Poiché l'azienda non dimostrò, in conformità dell'obbligo di correttezza nell'esecuzione dei contratto, di non poter adibire la lavoratrice ad altre mansioni se non a quelle del banco del pesce, il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Cass., sezione lavoro, sent. 4502/2016

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