Per la Cassazione sono legittimi gli avvisi di accertamento se l'agente di commercio non giustifica analiticamente le proprie movimentazioni bancarie

di Lucia Izzo - Legittimi gli avvisi di accertamento nei confronti dell'agente di commercio che non ha giustificato le proprie movimentazioni bancarie. Gli assegni girati "a sé medesimo" non consentono di identificare i destinatari dei pagamento e risultano inidonei a supportare la prova che trattavasi di costi inerenti l'attività d'impresa.

La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 23762/2015 (qui sotto allegata) ha provveduto a rigettare il ricorso di un agente di commercio contro la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale.

La Commissione aveva accertato la legittimità degli avvisi di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva determinato il maggior reddito d'impresa, ai fini IRPEF, il maggior volume di affari ai fini IVA ed il maggior valore della produzione ai fini IRAP, per gli anni dal 2006 al 2008.

Difatti, a seguito di procedura di accertamento con adesione, il contribuente aveva provveduto a fornire solo parziali giustificazioni circa le movimentazioni rilevate sui conti bancari a lui intestati e avevano trovato, quindi, applicazione le presunzioni legali di maggior reddito non dichiarato.

Gli assegni girati "a me medesimo" prodotti dal ricorrente, erano apparsi al giudice inidonei a supportare la prova che si trattasse di costi inerenti l'attività dì'impresa.

Il ricorrente, a contrario, ritiene di aver dimostrato nei gradi di giudizio "precise causali dei versamenti e dei prelevamenti e i nominativi dei beneficiari dei pagamenti" nonché "la riconducibilità delle movimentazioni stesse alla sua attività di agente di commercio e di socio e legale rappresentante di diverse società",

In realtà, precisano gli Ermellini, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto non dimostrata dal ricorrente la corrispondenza degli imposti accreditati ed addebitati sui conti alle operazioni registrate in contabilità.

Risulta, invece, assolta la prova a carico della Amministrazione finanziaria circa le rilevazioni di accrediti ed addebiti sui conti intestati al contribuente e all'accertamento dell'inidoneità dei documenti prodotti in giudizio dal contribuente a giustificare i movimenti bancari indicati nell'avviso, da cui è derivato il conseguente mancato assolvimento dell'onere di fornire la prova contraria alla presunzione legale "juris tantum" di maggiori ricavi non contabilizzati, prevista dall'art. 32 co 1, n. 2), Dpr n. 600/73 e dall'art. 51 comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633/72.

Infatti, già in altre pronunce (cfr. sentenza n. 7296/2012) la Suprema Corte ha stabilito che, qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio si fondi su verifiche di conti correnti, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto (ex art. 32 d.P.R.600/1973, n. 600) in base ai dati risultanti dai predetti conti e dunque è onere del contribuente dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.

Nel caso di specie, a fronte della corretta valutazione da parte della CTR relativamente ai documenti prodotti, inidonei a giustificare l'operato del fisco, il ricorso deve essere rigettato.

Cass., sez. tributaria, sent. 23762/2015

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