Escluso che si possa presumere dalle qualità personali del paziente il rilascio del consenso

di Jacopo Alberghi - La Suprema Corte, con interessante sentenza n. 19212 del 29 settembre 2015 (qui sotto allegata) è tornata ad affrontare il tema del consenso informato, affermando che "ai fini della legittimazione del trattamento medico-chirurgico, non può configurarsi come consenso presunto quello asseritamente acquisito verbalmente dal paziente, in stato di narcosi, che non conosce nemmeno l'italiano". 

La decisione prende le mosse dalla vicenda di una donna straniera, la quale, ricoverata in una clinica privata per un intervento al ginocchio destro, lesionatosi a seguito di una caduta sugli sci, veniva operata anche al ginocchio sinistro, per il quale non aveva prestato alcun consenso. 

L'obbligo del consenso informato, costituzionalmente garantito (ex artt. 32 e 13 Cost.), rappresenta il fondamento del trattamento sanitario, senza il quale l'intervento del medico è sicuramente illecito, eccezion fatta per i casi derivanti da stato di necessità e/o obbligatori per legge. 

In altre parole, il consenso informato, autonomo diritto della persona, è espressione dell'autodeterminazione del paziente e rappresenta la libera e consapevole adesione dello stesso all'intervento sanitario (cfr. Cass. n. 12830/2014). 

Quanto all'onere della prova, se il paziente allega l'inadempimento del medico rispetto all'obbligo del consenso informato, è onere di quest'ultimo dimostrare l'adempimento dell'obbligazione e di avergli fornito un'informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (cfr. Cass. n. 2847/2010). 

Gli Ermellini negano si possa presumere dalle qualità personali del paziente il rilascio del consenso: le stesse possono incidere esclusivamente sulle modalità dell'informazione, la quale, in particolare, deve sostanziarsi in "spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone" (cfr. Cass. n. 19920/2013). 

In ordine alla forma, oltre ad escludere la validità del consenso nel caso in cui il sanitario ometta del tutto qualsiasi informazione circa natura, rischi e possibilità di successo dell'intervento, la Suprema Corte, con la decisione in esame, ha ribadito la necessità che l'informazione al paziente sia specifica ed effettiva, negando sostanzialmente la possibilità di un consenso tacito o presunto

Integra, quindi, una violazione dell'obbligo del consenso informato anche il caso in cui lo stesso sia stato acquisito con modalità improprie da parte del medico. 

Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra, i Giudici di legittimità hanno giudicato inidoneo un consenso asseritamente prestato (solo) in forma orale, trattandosi peraltro di paziente straniera che non conosceva nemmeno l'italiano. 

Jacopo Alberghi

Avvocato del Foro di Roma

alberghijacopo@gmail.com

Cassazione, sentenza n. 19212/2015

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