Per la Cassazione il parametro dei tre decibel non è vincolante per il giudice e i rumori di pochi minuti in orari non destinati al riposo sono da ritenersi tollerabili

di Marina Crisafi - In condominio si sa si litiga veramente per tutto: per i bambini che giocano rumorosamente, per i latrati dei cani, per il volume alto della tv, per il ticchettio dei tacchi e non ultimo per la lavatrice! Ebbene sì perché per chi non ha abbracciato le innovazioni tecnologiche degli elettrodomestici ultra "silenziosi", lavare i panni sporchi in casa propria, significa spesso condividerli con i vicini, con centrifughe che sembrano veri e propri reattori nucleari azionate a tutte le ore del giorno e della notte.

Ma per la Cassazione, anche se il rumore causato dalla lavatrice del vicino supera il limite dei tre decibel consentiti, laddove lo stesso non si protragga troppo a lungo e in orari che non sono destinati al riposo, i vicini disturbati non hanno diritto ad alcun risarcimento.

Seguendo questo ragionamento, il Palazzaccio, con la sentenza n. 22105/2015,, depositata ieri (qui sotto allegata), ha dato così torto a un condomino che chiedeva conto al vicino abitante al piano di sopra delle "molestie" della sua lavatrice, domandando la condanna al risarcimento dei danni morali e biologici subiti (da lui e dai familiari) per via dei forti rumori provenienti dall'elettrodomestico collocato in una stanza al piano superiore, esattamente in corrispondenza della sua camera da letto.

Per gli Ermellini "il limite di tollerabilità delle immissioni, a norma dell'articolo 844 c.c., non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione". Tale apprezzamento - hanno ribadito - è demandato al giudice di merito e sottratto al sindacato

di legittimità, se correttamente motivato e immune da vizi logici. Per cui il giudice, nello stabilire la tollerabilità o meno delle emissioni può basarsi sui parametri dei decibel che costituiscono "criteri minimali di partenza" ma non ne è necessariamente vincolato, potendo anche discostarsene, "pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà)".

E nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che la lavatrice incriminata quando era a pieno carico e nella fase di centrifuga superava certo i 3 decibel, ma il vicino disturbato non aveva né provato l'utilizzo particolarmente intenso della stessa né che i lavaggi avvenissero di notte o nel primo pomeriggio, essendo emerso invece che il rumore si protraeva soltanto per 5-10 minuti al giorno e in orari non destinati al riposo.

Pertanto, aderendo alla tesi della corte territoriale, piazza Cavour ha confermato che il rumore non poteva essere ritenuto "obiettivamente intollerabile" e ha rigettato il ricorso. 


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Cassazione, sentenza n. 22105/2015

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