La deposizione della figlia, non smentita dal padre, costituisce prova di una confessione stragiudiziale che dimostra l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà

di Marina Crisafi - Sì all'addebito per il padre "fedifrago" incastrato dalla figlia che per caso ha scoperto gli sms inviati dall'amante sul telefonino del genitore e ha assistito alla sua "confessione", rendendo apposita deposizione in giudizio.

Lo ha stabilito il Tribunale di Trento con la recente sentenza n. 249/2015 (qui sotto allegata), pronunciandosi sulla separazione giudiziale di una coppia e concludendo per l'addebito al marito e l'affido congiunto della figlia minorenne.

La vicenda aveva inizio con la domanda di addebito da parte della moglie per via della relazione extraconiugale intrattenuta dal marito e provata, tra le altre cose, anche dalla testimonianza resa dalla figlia maggiorenne, la quale, non solo aveva avuto modo di leggere alcuni sms sul telefono del padre (del tipo "sei la luce dei miei occhi", "oggi piove si vede che non ci sei", ecc.) inviati dall'amante, ma aveva anche assistito ad una discussione del genitore con la madre, durante la quale lo stesso ammetteva la relazione sentimentale promettendo che comunque era finita, per poi prendere le sue cose e andare via di casa.

Per il tribunale, ciò basta ad addebitare la separazione al convenuto, ritenendo superfluo l'esame di ogni altra deduzione sul punto.

La deposizione della figlia, infatti "non smentita da elementi di segno contrario, costituisce, di fatto, prova di una confessione stragiudiziale del convenuto, in virtù della quale può ritenersi dimostrato che in costanza di convivenza con la moglie lo stesso ebbe effettivamente a intrattenere una relazione extraconiugale".

Ciò detto, ha quindi affermato il tribunale richiamando il costante insegnamento giurisprudenziale in tema di separazione tra coniugi (cfr Cass. 2059/2012), "l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile" il che significa che laddove "la ragione dell'addebito sia costituita dall'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicché, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l'onere della prova per la parte su di lei gravante, e dall'altro la sentenza

che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata ove non risulti adeguatamente provata la mancanza di un rapporto di causa ed effetto tra l'accertata infedeltà e l'intollerabilità della convivenza".

E tale prova è mancata, secondo il giudice trentino, nella tesi sostenuta dal marito che affermava che il rapporto matrimoniale fosse già definitivamente compromesso all'inizio della sua relazione, per cui l'infedeltà si era verificata nell'ambito di una convivenza divenuta intollerabile o meramente formale, in quanto non forniti adeguati elementi di prova tali da escludere la rilevanza causale alla violazione dell'obbligo di fedeltà.

Vittoria per la moglie, dunque, ma non su tutti i fronti. Perché quanto all'assegno, dai controlli effettuati non risultava la stessa avesse un reddito così basso da spettarle il mantenimento, il quale veniva, invece, disposto nei confronti delle figlie, sia minorenne (affidata congiuntamente) che maggiorenne senza redditi sufficienti.

Tribunale Trento, sentenza n. 249/2015

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