La sentenza n. 34932/2015 interpreta l'art. 131-bis c.p. come tratteggiato dal d.lgs. n. 28/2015

di Lucia Izzo - La questione circa la non punibilità del fatto per particolare tenuità ex art. 131-bis c.p. non può essere presa in considerazione dalla Corte di Cassazione se il ricorso è da dichiarare inammissibile per manifesta infondatezza. 


Così si è espressa la Terza sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 34932/15, depositata ieri (qui sotto allegata), pronunciandosi sul ricorso presentato dal legale rappresentate di una ditta individuale, condannato per evasione a causa dell'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto prevista per un'annualità. 


Con il provvedimento in esame, i giudici di Piazza Cavour interpretano il nuovo articolo 131-bis del codice penale, come tratteggiato dal d.lgs. 28/2015 entrato in vigore lo scorso 2 aprile

La norma prevede che "nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo (…)l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale". 


Dopo aver confermato l'ormai pacifica ammissibilità del meccanismo della cd. doppia conforme, ossia della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di grado, i giudici hanno motivato in ordine all'art. 131-bis c.p., la cui applicazione era stata richiesta dal ricorrente in quanto ius superveniens "tenuto conto della mancanza di disciplina transitoria e del principio di retroattività della legge piu favorevole". 


Per gli Ermellini, la disposizione in oggetto rappresenta una forma atipica di esclusione della punibilità avente natura sostanziale, non rientrante nelle previsione normativa di cui all'art. 129 c.p.p.  

Pertanto, un ricorso inammissibile è inidoneo a costituire il rapporto giuridico processuale di impugnazione e lo ius superveniens non può essere rilevabile.  

Più volte la giurisprudenza della Corte ha ribadito, anche a sezione unite "che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità" (cfr., ex multis, SS.UU. 32/2000, SS.UU. 23428/2005, SS.UU. 19601/2008). 


Eccezionalmente, la disciplina sarebbe stata applicabile in caso il nuovo istituto avesse introdotto una dorma di "abolitio criminis", ma per i giudici la disposizione in esame, introducendo una nuova causa di non punibilità, non sembra operare in tal senso. 

Neppure può trascurarsi che, qualora ricorrano i presupposti previsti dall'art. 131-bis c.p., "il fatto è pur sempre qualificabile - e qualificato - dalla legge come reato", ed inoltre che il "nuovo" art. 651-bis c.p. attribuisce efficacia di giudicato, nei giudici civili e amministrativi, alla sentenza dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche "quanto all'accertamento … della sua illiceità penale". 

Ciò conferma l'esclusione della fattispecie dell'abolitio criminis, che presuppone l'abrogazione o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (673 c.p.p., comma 1). 


Dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte di legittimità pone un primo importante intervento interpretativo circa le modifiche attuate dal d.lgs. n. 28/2015. 


Cass., III sez. Penale, sentenza 34932/15

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