Con sentenza n. 32697/2014, depositata il 23 luglio scorso, la Corte di Cassazione ha precisato i limiti dell'uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali in un procedimento diverso da quello per il quale sono state disposte (art. 270 c.p.).

Il fatto - risalente a sette anni fa - vede coinvolti due carabinieri, imputati per il reato di distruzione o deterioramento di cose mobili militari (art. 169 c.p.m.p.), sulla base di un'intercettazione ambientale rilevata per mezzo di un dispositivo installato ai fini di un'altra indagine, nei confronti di altri carabinieri.

Condannati in primo e secondo grado, i due si sono visti accogliere il ricorso presentato alla Suprema Corte, poiché l'intercettazione che li "incastrava" non costituiva corpo di reato, ma soltanto una "comunicazione" del reato stesso (in pratica, dalla registrazione era possibile capire che i carabinieri avevano di proposito mandato fuori giri il motore dell'auto sulla quale viaggiavano) e come tale non poteva essere acquisita in altro procedimento se non in quello nell'ambito del quale era stata disposta.

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