L'art. 76, comma 2, del d.p.r. n. 115/2002 prevede che, ai fini dell'ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, il reddito computabile è quello risultante dalla sommatoria dei redditi conseguiti, nel periodo, da ogni componente del nucleo familiare, compreso il richiedente, sul presupposto che lo stesso conviva con il coniuge o gli altri familiari e non che sia fiscalmente a loro carico, vivendo tuttavia separatamente; tale status infatti non è coincidente con quello che assume rilievo per l'ammissione e il mantenimento del beneficio.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (IV sezione penale), con la sentenza

n. 33428 depositata il 29 luglio 2014, accogliendo il ricorso di un soggetto contro la decisione del tribunale di Padova che, su istanza dell'Agenzia delle entrate, revocava il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Secondo l'Agenzia delle Entrate, infatti, il soggetto era fiscalmente a carico dei genitori e il cumulo del reddito complessivo, del nucleo familiare, superava pertanto quello compatibile con il beneficio del gratuito patrocinio. L'uomo ricorreva per Cassazione eccependo di non vivere più all'interno del nucleo familiare dei genitori da anni.

La Cassazione gli ha dato ragione. Secondo gli Ermellini, infatti, a differenza delle norme tributarie che conferiscono rilievo all'incidenza del peso determinato dal familiare sul contribuente dichiarante, ancorché non convivente, il patrocinio a spese dello Stato individua, invece, quale requisito per l'ammissione il reddito rapportato allo stato di convivenza. È la convivenza, pertanto, la "condizione fattuale che determina per ciascun familiare la possibilità di fare affidamento non solo sul proprio personale reddito, ma anche su quello degli altri familiari conviventi" ha ricordato la Corte, per cui "la nozione rilevante ai fini dell'ammissione e della conservazione del beneficio non è quella di familiare a carico, bensì quella di familiare convivente".


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