di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione seconda, sentenza n. 1956 del 29 Gennaio 2014. Il potere di tutelare l'integrità della cosa comune, previsto dalla legge (artt. 1130 e 1131 cod. civ.) in capo all'amministratore di condominio, è da intendersi in senso estensivo. Per tutela del bene comune, in generale, si intendono tutte quelle circostanze idonee ad incidere sull'interesse della collettività dei condomini alla conservazione delle parti comuni. Così, nella sentenza in oggetto, la Suprema Corte ha ritenuto legittima l'azione legale dell'amministratore, posta in essere in assenza di specifica autorizzazione assembleare, esperita nei confronti del proprietario esclusivo che ha realizzato opere edilizie senza rispettare le distanze legali.


Nel caso in oggetto il condomino - subentrato al proprietario originario che nel frattempo era fallito - condannato sia in primo che in secondo grado di giudizio, propone ricorso in Cassazione lamentando la circostanza che l'amministratore, legale rappresentante in causa del condominio, non avrebbe avuto alcuna legittimazione ad agire. In questo caso tuttavia l'interesse del condominio prevale su quella del singolo condomino ad ottenere idonea istanza d'azione. "L'azione proposta dal condominio aveva la finalità di tutelare l'integrità della cosa comune così che essa andava qualificata tra gli atti conservativi che, a mente del combinato disposto degli artt. 1130, 1 comma n. 4 e 1131, 1 comma cod. civ., l'amministratore può porre in essere senza la previa autorizzazione dell'assemblea". Viene quindi citata numerosa giurisprudenza precedente della Cassazione civile. Il ricorso è dunque rigettato.


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