Non deve essere cancellata l'espressione "subdolamente" dal controricorso depositato in Cassazione. Questo il contenuto della sentenza 26195, depositata il 6 dicembre 2011 con cui la terza sezione civile ha rigettato il ricorso di un avvocato che chiedeva, tra gli altri motivi di ricorso , la cancellazione dell'avverbio, a suo dire, offensivo, con condanna ad una sanzione pecuniaria ex art. 89 c.p.c. La Corte, ritendo l'avverbio non dispregiativo ha spiegato che "letto nella sua interezza ed in relazione anche alla vicenda sottostante, l'avverbio non risulta dettato da un passionale ed incomposto intento dispregiativo anche in considerazione del fatto che è ben possibile che nell'esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla condotta reciproca posso investire anche il profilo della moralità, senza eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte, in questo caso dell'(avvocato), il cui ricorso è stato oggetto di attenzione e di contestazoni, condivisibili e meno da parte del ricorrente, ma certamente puntuali dal punto di vista tecnico-giuridico.
In altri termini, l'avverbio "incriminato" non è idoneo a qualificarsi come offensivo della reputazione professionale dell'(avvocato), ma rientra, anche se in modo piuttosto "graffiante", in quell'esercizio del diritto di difesa che può contenere anche termini non del tutto piacevoli, che, comunque, dal complesso esame dell'atto in cui sono contenuto, non si rivelano espressi allo scopo di inficiare la dignità umana e professionale dell'avversario".
Consulta testo sentenza n. 26195/2011

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