Espressioni sconvenienti e offensive, che assumono solo valenza denigratoria e trascendono il diritto di critica, ricorda il Cnf, compromettono il decoro di tutta la classe forense

di Lucia Izzo - Integra l'illecito disciplinare previsto dall'art. 52 NCDF (già art. 20 codice previgente) usare nei confronti del collega espressioni che rivestono carattere sconveniente e offensivo e che si situano ben oltre il normale esercizio del diritto di critica e di confutazione delle tesi difensive dell'avversario.


In tal modo, infatti, si entra nel campo, non consentito dalle regole di comportamento professionale, del biasimo e della deplorazione dell'operato dell'avvocato della controparte, dovendo peraltro ritenersi implicito l'"animus iniuriandi" nella libera determinazione di introdurre quelle frasi all'indirizzo di un altro difensore in una lettera ed in un atto difensivo.


Così si è pronunciato il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 233/2017 (qui sotto allegata) giungendo al rigetto dell'impugnazione di un avvocato condannato per aver definito il collega avversario, in una missiva lui indirizzata, "un mediocre cultore del diritto"

Il competente COA, chiamato a pronunciarsi a seguito dell'esposto del collega, riteneva le motivazioni addotte dall'incolpato nella sua memoria difensiva non idonee a giustificare il suo operato, ovverosia l'aver volontariamente usato espressioni sconvenienti e offensive nei confronti del collega e per avere adottato nei confronti di questi un comportamento non informato a un corretto rapporto di colleganza.

Rinvenuto nella condotta dell'incolpato un "palese intento denigratorio e canzonatorio" il COA comminava all'avvocato la sanzione dell'avvertimento.


Il CNF, pronunciandosi del ricorso del legale, rinviene i precetti deontologici contestati in quelli cristallizzati negli artt. 9 ("Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza"), 19 ("Doveri di lealtà e correttezza con i colleghi e le Istituzioni forensi") e 52 ("Divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti"), quest'ultimo, tipizzato, sanzionato con la censura.


Inutile per il ricorrente affermare di aver utilizzato l'espressione contestata in tono scherzoso, essendo stato lo stesso collega a definirsi tale in precedenza: secondo il CNF, ciò non legittima comunque un terzo soggetto a utilizzare tale espressione contro di lui.


Né tantomeno, sottolinea il Collegio, la condotta dell'imputato può considerarsi manifestazione dell'esercizio del diritto di difesa: nonostante l'avvocato possa contrastare e criticare l'operato della controparte nell'esercizio del proprio dovere, "tale libertà non può di certo tradursi nella facoltà di utilizzare espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti della controparte".


Pertanto, conclude il provvedimento, nel caso di specie appare del tutto inutile nella dialettica processuale l'utilizzo dell'espressione "mediocre cultore del diritto", che assume solo una valenza denigratoria. Inoltre, le circostanze addotte dal ricorrente non escludono l'animus iniuriandi in quanto risulta implicito l'intento volto a deridere e insultare il collega, utilizzando la sua stessa espressione.


Tale condotta compromette il decoro di tutta la classe forense, alla quale appartiene il ricorrente e, pertanto, il Consiglio Nazionale Forense ritiene di confermare la responsabilità disciplinare dell'incolpato e di confermare la sanzione dell'avvertimento che appare congrua.

CNF, sent. 233/2017

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