Niente risarcimento ex art. 89 c.p.c. per la Cassazione se le espressioni negli scritti non eccedono le esigenze difensive e servono per provare la scarsa attendibilità del collega avvocato

di Lucia Izzo - Non scatta il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. qualora le espressioni contenute negli scritti difensivi, nei confronti dell'avvocato di controparte, non eccedano dalle esigenze difensive e siano preordinate a dimostrare la scarsa attendibilità delle sue affermazioni.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 26318/2019 (sotto allegata) pronunciandosi sulla controversia sorta tra due legali. Uno dei due aveva trascinato l'altro in giudizio ritenendo che questi, in un procedimento, ebbe ad assumere nei suoi confronti "un atteggiamento immotivatamente offensivo e provocatorio", culminato, in particolare, in un "inaudito attacco personale", in occasione della stesura delle note conclusionali di quel procedimento.

Il caso

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Nelle stesse, infatti, l'altro legale segnalava che, se solo il collega "fosse stato un avvocato, sarebbe stato dovere del Consiglio (dell'Ordine) avviare un procedimento disciplinare", e censurava sia la "puntigliosità delle avverse affermazioni, peraltro nullificata da palesi errori giuridici dettati da una conoscenza sommaria della materia", sia i "tentativi, tra l'ingenuo e il maldestro, di ottenere giustizia attraverso metodi che non possono trovare ingresso nella dialettica processuale", quali, ad esempio, il "non aspettare lo scrivente difensore all'udienza, discutendo la causa da solo sperando forse in una impossibile captatio benevolentiae", o "eccependo decadenze palesemente inesistenti con codice letto al Giudice come se questi fosse un quivis de populo".

Il ricorso

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Pertanto, il collega destinatario di tali espressioni chiedeva che, valutati i fatti, ne venisse accertata la "lesività e illegittimità ai sensi dell'art. 89 c.p.c., e/o art. 2043, anche come correlato con il successivo art. 2059 c.c.", con conseguente accoglimento della richiesta di risarcimento dei danni materiali e morali.


Ciononostante, in entrambi i gradi di merito le sue istanze venivano respinte. Secondo la Corte d'Appello, infatti, "nell'esercizio del diritto di difesa, anche espressioni colorite, o commenti sul contegno processuale della controparte, sono ampiamente ammesse e scriminate per effetto delle esigenze difensive del procuratore".

Avvocati: quando le espressioni colorite sono ammesse e scriminate

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Ricostruzione avallata anche dalla Corte di Cassazione secondo cui sono da escludere "i presupposti per il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c., ove le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, così rivelando un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni" (cfr. da ultimo, Cass. n. 17325/2015).


Criterio di valutazione a cui si è attenuta la sentenza impugnata. Inoltre, soggiunge la Cassazione, la giurisprudenza neppure postula, per la reiezione di pretesa risarcitoria ex art. 89 c.p.c., la prova della "indispensabilità" delle espressioni adoperate.


Ancora, "nel conflitto tra il diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo ed insindacabile ed il diritto della controparte al decoro ed all'onore, l'art. 89 c.p.c. ha attribuito la prevalenza al primo, nel senso che l'offesa all'onore e al decoro della controparte comporta l'obbligo del risarcimento del danno nella sola ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l'esercizio della difesa" (cfr., Cass. n. 10916/2001).


Scarica pdf Cass., III civ., ord. n. 26318/19

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