Se il chirurgo opera anche quando non è necessario pensando solo al proprio tornaconto, rischia una condanna per omicidio preterintenzionale in caso di esito infasto dell'intervento. E' quanto afferma la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione che con la sentenza n. 33136, depositata il 6 settembre 2011, ha stabilito che deve essere cassata, con rinvio, la sentenza
di merito che ha derubricato l'accusa da omicidio preterintenzionale a colposo a carico del chirurgo per un intervento invasivo ritenuto non necessario, se la motivazione del provvedimento non riesce adeguatamente a chiarire la compatibilità di una condotta soltanto colposa con l'atteggiamento del sanitario consapevolmente volto a procurarsi con l'attività di chirurgia un mero utile economico. I giudici di legittimità, su ricorso del Procuratore generale (che aveva sostenuto l'impossibilità di configurare solo come colposa la condotta del medico mosso dalla volontà di realizzare un utile economico), hanno chiarito che mentre è esclusa dall'area di responsabilità del medico, nei vari settori dell'ordinamento, la mera esecuzione dell'atto operatorio in sé e con le lesioni che esso "naturalisticamente" comporta, essa, la responsabilità può ben configurarsi non solo in situazioni di interventi eseguiti contro la volontà del paziente, ma anche in condizioni in cui l'azione del medico non sia volta al proprio specifico fine terapeutico e comunque non realizzi un beneficio per la salute complessiva del paziente, il vero bene da preservare, la cui tutela, per il relativo risalto costituzionale, fornisce copertura costituzionale alla legittimazione dell'atto medico. Il giudice di merito, dovrà quindi stabilire, analizzando tutte le circostanze relative al compenso del medico per l'operazione, l'incidenza che questo ha avuto sull'intera vicenda.
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