Una marcia indietro annunciata quella sulla c.d. "quota 96" considerate le remore con cui Montecitorio aveva dato il suo ok nei giorni scorsi. Cade così uno dei cardini del decreto P.A. che ha avuto dal Senato l'approvazione quasi definitiva.

Aldilà delle rassicurazioni del premier Renzi, che ha minimizzato la questione, spiegando che di fatto l'intervento esulava dalla ratio della riforma della P.A. e annunciando un decreto ad hoc entro la fine di agosto insieme al "pacchetto scuola", sta di fatto che i 4.000 insegnanti "liberati" dal giogo della riforma Fornero, in possesso dei requisiti della quota 96 (della somma cioè tra l'età anagrafica e quella contributiva) non potranno andare in pensione

Da palazzo Madama, arriva anche: il dietrofront sui pensionamenti facili, che consentivano di mandare a riposo i primari e i professori universitari al compimento dei 68 anni; lo stop alla cancellazione delle penalizzazioni per le uscite anticipate dal lavoro (prima dei 62 anni) e ai benefici per le vittime del terrorismo (in caso di invalidità permanente).

Tutti punti, quelli descritti, affossati dalla Ragioneria dello Stato che ha sollevato problemi di "copertura", sia in termini di fabbisogno che di indebitamento ai sensi delle norme sulla contabilità. 

Appunti ed emendamenti accettati, giocoforza, tra polemiche e delusioni, quale unica via d'uscita per ottenere il sì del Senato, dati i tempi stretti per non far decadere il decreto (la cui scadenza è prevista per il 23 agosto), ma che fanno saltare l'impianto "rivoluzionario" delle misure finalizzate a "rottamare" la vecchia macchina burocratica dello Stato, favorendo la staffetta generazionale nella P.A. 

Ora, dopo il bis della fiducia (già chiesta in prima battuta e ottenuta anche al Senato con 160 sì e 106 no), il decreto 90 dovrà correre alla Camera per la terza e definitiva lettura ed essere convertito, salvo sorprese, prima della pausa estiva. 



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