di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 18368 del 31 Luglio 2013. Un'associazione sindacale di categoria ha promosso ricorso al giudice del lavoro al fine di far rimuovere gli effetti dei provvedimenti aziendali - nella specie, licenziamento di tre dipendenti - poiché illegittimi e frutto di condotta antisindacale. Il Tribunale ha accolto la domanda e ordinato il reintegro dei dipendenti; decisione confermata anche in appello. Avverso tale sentenza promuove ricorso l'azienda denunciando difetto di motivazione.

Preliminarmente la Corte rileva come sia inammissibile il deposito, ad opera dell'azienda ricorrente, di un documento (copia decreto citazione diretta del Pm) mai prodotto nei precedenti gradi di giudizio. Prosegue la Cassazione rilevando come il comportamento dei tre operai licenziati, iscritti alle liste sindacali, stessero in effetti esercitando un diritto loro proprio; e di come la questione in sostanza vertesse sulla quantificazione del periodo di astensione, problema accertabile nel merito e non certo sindacabile in sede di legittimità. Circa la decisività della prova la Suprema Corte afferma che "possono considerarsi tali solo i fatti la cui differente considerazione avrebbe comportato con certezza una decisione diversa". Elemento comunque carente nel caso in esame. In definitiva, il datore di lavoro ha proceduto ad irrogare la sanzione del licenziamento

in tronco senza valutare e rapportare il comportamento degli scioperanti relativamente al caso concreto. Da tale sproporzione non può che derivare l'illegittimità del provvedimento datoriale, circostanza rilevata dal giudice del merito e da questi correttamente e compiutamente motivata; il ricorso è respinto e la sentenza d'appello interamente confermata.

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