Il consumo e la diffusione di marijuana nonchè la disciplina sulla coltivazione secondo le previsioni del T.U. sulla droga e le norme sulla cannabis terapeutica

Il testo unico sulla droga

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Il consumo e la diffusione di sostanze stupefacenti, nonché la disciplina pertinente la coltivazione, è contenuta nel T.U. sulla droga, ovvero il D.P.R. 309/1990, recante disposizioni in materia di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza.

Il testo legislativo è stato aggiornato dalla c.d. legge Fini-Giovanardi nel 2006 (Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonche' la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309) ed, ancor più di recente, dal D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202.

La punibilità della detenzione

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Preliminarmente va osservato che ai fini della qualificazione dell'illecito (parliamo di detenzione) rilevano due profili: il quantitativo ed il principio attivo presente nella sostanza. Normalmente il consumatore è ignaro della quantità di principio attivo presente nella sostanza che acquista (THC) che di norma viene rilevato solo a seguito delle indagini tossicologiche.

Colui il quale venga dunque trovato in possesso di quantitativi di sostanza che eccedano il limite sarà onerato del c.d. dovere di allegazione, consistente nel dimostrare che la sostanza in suo possesso fosse detenuta solo per uso personale. Ulteriori elementi che assumono rilievo sono il reddito personale del consumatore, la disponibilità di strumenti per la pesatura nonché altre circostanze del caso che possano fornire elementi ulteriori.

Laddove con l'onere di allegazione il consumatore non sia in grado di fornire elementi a sua discolpa si applicano le sanzioni di cui all'art.73 (comma 1) del D.P.R. 309/1990, ovvero "Chiunque, senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall'articolo 14, e' punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000".

La coltivazione della marijuana

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Tema di particolare interesse è sempre stato quello della coltivazione della marijuana, indipendentemente dalle finalità per le quali viene perseguita. Si pensi ad esempio all'interesse riservato alla tematica della coltivazione per uso terapeutico o di coloro i quali, indipendentemente dalle finalità, decidano di coltivare marijuana semplicemente per consumarla.

La Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità penale per coloro i quali coltivino sul balcone una piantina di marijuana e, difatti, ha ammesso che "La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa soltanto se il giudice ne accerti l'inoffensività "in concreto" ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa, restando in tal senso non sufficiente l'accertamento della conformità al tipo botanico vietato" (Sez. 4, n. 3787 del 19/01/2016, Festi, Rv. 265740; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168) (Cass. pen. Sez. VI, Sent., 26-09-2016, n. 40030).

In relazione al possesso di una singola piantina la Corte ha rilevato nel medesimo precedente che "Resta escluso quindi che rilevi ai fini dell'offensività della condotta e della correlata punibilità il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, dovendosi valutare anche l'estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno una produzione potenzialmente idonea ad incrementare il mercato (Sez. 4, n. 3787 cit.)". Per uso terapeutico, invece, la cannabis è legale solo se acquistata in farmacia e presente in prodotti destinati alla diffusione legale e consentita dalla legge.

La cannabis per uso terapeutico

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I preparati a base di marijuana per utilizzo terapeutico sono prodotti dall'azienda olandese Bedrocan. I farmaci ufficialmente sul mercato acquistabili nel nostro territorio sono Bedrocan, Bediol, Bedica, Bedrobinol e Bedrolite. La cannabis può essere somministrata in vari modi: tramite vaporizzazione o combustione delle infiorescenze essiccate, estratti di vario genere, oppure in capsule. Sebbene in Commissione alla Camera fosse stato avviato un percorso volto alla legalizzazione della detenzione di cannabis per uso personale di recente l'iter ha subito uno stop per le contrarietà trasversali ed è tornata in commissione, dove si ripartirà con le votazioni sui circa 1.800 emendamenti. Procediamo ora alla disamina del consumo di gruppo della Marijuana e del rapporto tra consumo per uso personale e consumo di gruppo.

Il consumo di gruppo

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È principio di diritto di elaborazione giurisprudenziale quello teso ad ammettere che in tema di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, il consumo di gruppo, sia laddove assuma le forme dell'acquisto congiunto che quelle di mandato all'acquisto collettivo ad uno dei consumatori, non è penalmente rilevante ma integra un illecito amministrativo, sanzionato dall'art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990, quando l'acquirente sia uno degli assuntori, l'acquisto avvenga sin dall'inizio per conto degli altri componenti del gruppo e sia certa sin dall'inizio l'identità dei mandanti e la loro manifesta volontà di procurarsi la sostanza per mezzo di uno dei compartecipi, contribuendo anche finanziariamente all'acquisto (Cassazione Penale, Sez. III, 9 gennaio 2015 (ud. 10 dicembre 2014), n. 532).

Sul punto è comunque illuminante la pronuncia delle Sezioni Unite che dopo avere chiarito che "E' stato esattamente rilevato che la locuzione 'consumo o uso di gruppo' è fuorviante, sia perchè eccessivamente generica e comprensiva di situazioni eterogenee, sia perchè si incentra sul momento finale del consumo della sostanza stupefacente, mentre l'aspetto rilevante è quello iniziale dell'acquisto, oltre a quello successivo della detenzione. In realtà, quando si parla di consumo di gruppo, si fa di solito riferimento a due diverse situazioni: a) a quella in cui due o più soggetti acquistino congiuntamente sostanza stupefacente per farne uso personale e poi la detengano (in modo indiviso o meno) in una quantità necessaria a soddisfare il fabbisogno di tutti; b) a quella in cui un solo soggetto acquisti, a seguito di mandato degli altri, sostanza stupefacente destinata al consumo personale suo e dei mandanti, fra i quali poi la ripartisca" ammette che "tale codetenzione riguarda una situazione di fatto unitaria, caratterizzata da un rapporto intimo che si stabilisce e si esaurisce fra i soggetti, codetentori di singole quote ideali, dalla quale non può derivare a priori un concorso nel reato di detenzione di droga a fine di spaccio, nel presupposto astratto di una presunta cessione reciproca di quote oppure per effetto di una possibile disponibilità, da parte di ciascun codetentore, dell'intero quantitativo della sostanza stupefacente; che, infatti, per aversi concorso occorre una prova certa che, travalicando il fatto unitario e le ragioni specifiche della codetenzione della sostanza, dimostri, in modo concreto ed inequivoco, che tale situazione, di per sè neutra, sia finalizzata all'attività di spaccio all'interno del gruppo dei codetentori oppure nei confronti di terzi (Sez. 6, n. 215 del 30/10/1996, dep. 15/01/1997, Lorè, Rv. 207111; Sez. 4, n. 776 del 27/05/1994, Gomiero, Rv. 199553); che la prova certa della destinazione allo spaccio non può essere desunta nè dal solo quantitativo della sostanza (la cui rilevanza non è incompatibile con la destinazione all'uso personale), nè dalla consegna ai componenti del gruppo, dal momento che fin dall'acquisto ciascuno di essi ottiene il possesso e la disponibilità del quantitativo secondo la quota di spettanza (Sez. 6, n. 1620 del 18/04/1997, Miccoli, Rv. 208289)"concludendo quindi con l'ammettere che "dunque non è punibile chi acquisti o detenga droga su incarico di altri che intendano farne uso esclusivamente personale quando il soggetto sia anch'egli uno degli assuntori, poichè la sua azione è intesa all'utilizzo diretto del gruppo, come longa manus del quale egli agisce (Sez. 6, n. 4658 del 21/03/1997, Franzè, Rv. 207486; Sez. 4, n. 199 del 19/12/1996, dep. 15/1/1997, Di Stefano, Rv. 207157)" (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 10 giugno 2013, n.25401).

Conclusioni

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La materia, stante la sua delicatezza e la contiguità con profili di etica e morale, necessita di maggiori definizioni e sicuramente di una novella legislativa mirata e diretta ad ottenere un risultato più concreto. Difatti ancora aperto ed irrisolto è il dibattito sul consumo per uso terapeutico sul quale manca una precisa e pertinente definizione legislativa. Sarebbe illuminante dunque un intervento, previa debita sollecitazione, della Consulta affinché conduca per mano il legislatore attraverso un percorso costellato non solo di valutazioni politiche, ma finanche legislative (sia nazionali che sovranazionali), etiche e morali.

Leggi anche: "Cannabis legale: la proposta di legge sbarca in aula"

Daniele PaolantiDaniele Paolanti - profilo e articoli
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Vincitore del concorso di ammissione al Dottorato di Ricerca svolge attività di assistenza alla didattica.

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