Il provvedimento espulsivo deve essere sempre proporzionato e motivato. Commento a Cass. 5.02.2016, n. 2328

Avv. Paolo Accoti - Il contegno tenuto dal lavoratore sul posto di lavoro - e in alcuni casi anche al di fuori dal contesto lavorativo (leggi: Chattare o navigare: il licenziamento ai tempi di internet, facebook e degli altri social network) - deve essere sempre rispettoso delle norme di comportamento imposte dalla legge (obbligo di fedeltà ex art. 2105 e dovere di diligenza ex art. 2104 c.c.), oltre che dai contratti collettivi e, più generale, improntato ai canoni della correttezza e buona fede.

Una condotta non conforme agli anzidetti precetti può esporre il lavoratore a sanzioni di carattere disciplinare, tanto è vero che: "L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti (Ndr.: artt. 2014 e 2105 c.c.) può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione" (art. 2106 c.c.).

Generalmente, l'ulteriore elencazione - sia pure non esaustiva - dei comportamenti ritenuti scorretti, è contenuta nei contratti collettivi di lavoro, i quali specificano vieppiù la sanzione disciplinare concretamente applicabile al lavoratore, in relazione alla gravità del fatto contestato.

Le sanzioni disciplinari possono essere di tipo conservativo, e variano da quelle più blande a quelle più severe, a seconda della tipologia della condotta: il richiamo (o biasimo) verbale; quello scritto; la multa; la sospensione dalla retribuzione; fino a quello estremo, di natura espulsiva, quale appunto: il licenziamento.

In disparte le questioni in merito alla forma del licenziamento (v. "La lettera di licenziamento consegnata a mani al lavoratore e il suo rifiuto di riceverla"), quelle procedurali (v. "Licenziamento: la scelta del rito Fornero non è rinunciabile") ovvero l'applicabilità alle varie tipologie di lavoratori (v. Focus: riforma del lavoro

), per le quali per approfondimenti si rimanda alle indicate pubblicazioni, in questa sede ci focalizzeremo sugli aspetti relativi alla motivazione ed alla proporzionalità del licenziamento disciplinare.

Lo spunto per trattare delle anzidette problematiche, pur senza pretesa di completa esaustività, ci viene fornito da una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, del 5.02.2016, n. 2328.

La vicenda prende le mosse dal licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente sorpreso addormentato sul posto di lavoro, nonostante il compito allo stesso assegnato di "monitorare un macchinario".

Lo stesso, peraltro, secondo la prospettazione fornita dall'azienda, si riteneva oltre che recidivo, anche riottoso ad adeguarsi agli ammonimenti e alle disposizioni impartite dal superiore gerarchico, nei confronti del quale aveva avuto altresì delle reazioni offensive.

Impugnato con ricorso il licenziamento dinnanzi al Tribunale, questo rigettava la domanda del lavoratore e suffragava la validità del licenziamento.

Anche la Corte d'Appello di Ancona, successivamente adita dal dipendente, confermava la sentenza di primo grado.

In particolare, il giudice del gravame, evidenziava come il licenziamento disciplinare era conseguenza del comportamento del lavoratore ("sorpreso addormentato sul posto di lavoro"), condotta provata alla luce delle dichiarazioni di un teste che, tra l'altro, "aveva riferito di aver trovato il lavoratore seduto su di uno sgabello a circa 7/8 metri dalla macchina avvolgitrice e di aver sentito la reazione offensiva del lavoratore al rimprovero verbale del direttore".

Ciò posto, riteneva che la sanzione espulsiva, quella più grave, risultava conforme al dettato dell'art. 53 del CCNL di settore, anche in virtù della recidiva del lavoratore.

Proponeva ricorso per cassazione il lavoratore affidando lo stesso a tre motivi, tra cui, l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e la violazione dell'art. 2106 c.c. e dell'art. 7 L. n. 300/70, e degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., in considerazione del fatto che non era stata né provato, ma neppure argomentato, il rapporto di proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione concretamente applicata.

La Suprema Corte, con la sentenza oggi in commento, cassa inesorabilmente l'anzidetta sentenza, con un ragionamento assolutamente lucido e lineare.

Ed invero, riferisce la Corte di Cassazione: "La sentenza impugnata non offre una ricostruzione organica e puntuale dei due episodi contestati. La sentenza parla di "precise, coerenti e concordanti deposizioni dei testimoni", ma di tali dichiarazioni sono state riportate poche frasi del teste (omissis) che costruirebbero - secondo la Corte - un riscontro logico alla deposizione del direttore (omissis), le cui dichiarazioni non sono neppure sintetizzate. Emerge invece che furono sentiti numerosi altri testi la cui versione non viene menzionata così come non viene neppure esaminata la tesi del lavoratore per cui per prassi veniva tollerato che il lavoratore sedesse a breve distanza dalla macchina per la temperatura elevata e che una breve distanza non faceva perdere il controllo sul macchinario".

La prospettata carenza motivazionale - anche in ordine alla parziale ricostruzione dei fatti oggetto di giudizio - della sentenza di secondo grado, assume la Corte di Cassazione, è altresì riscontrabile anche "in ordine alla gravità del fatto in relazione al quale, a parte la citazione di massime della Corte di cassazione, si richiama la disposizione dell'art. 55 CCNL che si riferisce però all'abbandono del posto di lavoro", circostanza che non sembra essersi verificata né nel primo che nel secondo episodio".

La sentenza, pertanto, viene cassata con "rinvio, anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione che provvederà ad esaminare compiutamente l'istruttoria espletata con riferimento a tutti i testi esaminati e con verifica della tesi difensiva del lavoratore e provvederà, una volta ricostruiti i fatti, a valutare la proporzionalità tra gli stessi e la sanzione espulsiva irrogata" (Cass. civ. Sez. Lav., 5.02.2016, n. 238).

Senza dimenticare che, per come costantemente affermato dai giudici di legittimità: "La sussistenza in concreto di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia della gravità dei fatti addebitati al lavoratore - desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall'intensità dell'elemento intenzionale -, sia della proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta, con valutazione dell'inadempimento in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" dettata dall'art. 1455 c.c." (Cass. civ. Sez. Lav., 16.10.2015, n. 21017).

In particolare, si dovrebbe tener conto e, pertanto, stabilire, se la condotta tenuta in concreto dal lavoratore sia in grado di ledere definitivamente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, con un giudizio prognostico effettuato secondo criteri oggettivi e soggettivi, che tenga anche nella debita considerazione l'intenzionalità del comportamento ritenuto lesivo.

Ferma restando la proporzionalità della punizione rispetto al fatto, nel senso che la prospettata lesione dell'elemento fiduciario dovrebbe risultare così intensa da legittimare la comminazione della più grave sanzione disciplinare del licenziamento

Cass. civ., Sez. Lav., 5.02.2016, n. 2328
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