La donazione di cosa altrui è un contratto invalido o valido ma inefficace?

di Avv.to Marcella Ferrari - L'art. 771 c.c. dispone la nullità della donazione dei beni futuri. Quid iuris in caso di donazione di cosa altrui?

Alcuni autori riconducono il concetto di cosa altrui alla res futura; secondo una classificazione classica[1], infatti, si possono individuare due categorie di cose future: quelle soggettivamente future, esistenti in rerum natura, ma non rientranti nel patrimonio giuridico del disponente (benché suscettibili d'entrarvi) e quelle oggettivamente future in quanto non esistenti in rerum natura e non rientranti nel patrimonio giuridico di alcuno[2]. La cosa altrui, secondo un orientamento dottrinale, rientra nella nozione soggettiva di res futura e, pertanto, ad essa si applica l'art. 771 c.c. con la conseguente nullità del negozio giuridico concluso tra le parti. In capo al donante, quindi, non nasce l'obbligazione di procurare l'acquisto del bene al donatario, come accade, invece, nella vendita di cosa altrui[3] (art. 1478 c.1 c.c.). V'è di più. Qualora la res entrasse nel patrimonio del donante, si renderebbe comunque necessaria un'ulteriore donazione, in quanto non si applica l'automatismo di cui all'art. 1478 c. 2 c.c.[4]

La giurisprudenza della Suprema Corte[5]
ritiene, invece, che l'art. 771 c.c. sia una norma di stretta interpretazione in virtù della sua natura eccezionale e non possa, quindi, estendersi a ricomprendere la cosa altrui. Al lume di questa lettura esegetica, una donazione di cosa altrui non deve ritenersi nulla ma meramente inefficace. La donazione di cui trattasi, pertanto, è valida ma inefficace e, sottolinea la Corte di Cassazione, rappresenta un titolo astrattamente idoneo ai fini dell'usucapione.

La vera questione giuridica sottesa alla validità o invalidità della donazione di cosa altrui inerisce, infatti, all'idoneità traslativa del negozio.
Se si accoglie l'orientamento che propugna la nullità del contratto deve concludersi per l'inidoneità del titolo ad avere efficacia traslativa ai fini del possesso ad usucapionem.

Per contro, se si aderisce all'interpretazione sposata dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 2001[6], la donazione, seppur inefficace, resta valida e, dunque, se ne ammette l'acquisto a titolo di usucapione da parte del donatario.

Il peso della questione è tale che, con ordinanza del 23 maggio 2014 n. 11545, è stata rimessa alle Sezioni Unite. Da più parti la rimessione alle S.U. è stata stigmatizzata non ravvisandosi l'utilità di un loro intervento in merito. È pur vero che, nel caso di specie, non v'è un contrasto da sanare ma, come fanno notare alcuni autori[7], è presente una questione di «particolare importanza» da dirimere esattamente come previsto dall'art. 374 c. 2 c.p.c.


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Note:


[1] Vedi B. BIONDI, voce Cosa futura, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, Utet, 1957, 1022. Per un'altra classificazione v. S. PUGLIATTI, voce Cosa (Teoria generale), in Enc. del dir., IX, Giuffrè,1962, 91 ss.

[2] Sono tali i frutti naturali non ancora separati ovvero i frutti civili non maturati o il minerale non ancora estratto, i quali pur esistendo, sono considerati dalla legge «cosa mobile futura».

[3] La vendita di cosa altrui è una vendita obbligatoria ad effetto traslativo differito; la proprietà, infatti, si trasferisce unicamente allorquando l'alienante procura il bene all'acquirente.

[4] La citata norma prevede che l'acquirente divenga proprietario del bene nel momento in cui esso entra a far parte del patrimonio dell'alienante senza necessità di concludere un ulteriore negozio di trasferimento.

[5] In particolare si fa riferimento alla sentenza della Corte Cass. 5 febbraio 2001 n. 1596

[6] Corte Cass. sent. 5 febbraio 2001 n. 1596

[7] In tal senso vedasi F. Caringella, D. Di Matteo, Lezioni e sentenze di diritto civile, Dike, 2015, 976 ss.


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