Per la Cassazione, il negozio di diritto familiare ha un contenuto essenziale e uno eventuale, che può non essere collegato al precedente matrimoio

di Marina Crisafi - Nell'accordo di separazione consensuale può ben disporsi non solo per il mantenimento o per l'affidamento dei figli, ma possono trovare spazio anche accordi non direttamente collegati al precedente matrimonio. Lo ha stabilito la Cassazione, nella recente sentenza n. 16909/2015 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di un marito che aveva visto confermare dalla Corte d'Appello di Firenze lo scioglimento del matrimonio e revocare la statuizione dichiarativa della perdita di efficacia degli accordi conclusi dalle parti in sede di separazione consensuale.

Per il giudice d'appello, infatti, le pattuizioni economiche inerenti la separazione fra coniugi devono riguardare l'assegno di mantenimento ovvero l'assegnazione della casa familiare, mentre nel caso di specie, si limitavano a disciplinare, in occasione dell'intervenuta separazione, alcuni interessi economici relativi a pregressi rapporti tra le parti, non avendo la moglie chiesto alcunché circa il mantenimento personale, né essendovi luogo all'assegnazione dell'abitazione, in mancanza di figli minori o non autosufficienti conviventi. Per cui, per poter ritenere cessati detti accordi patrimoniali, sarebbe occorsa una dichiarazione di volontà concorde dei coniugi.

Ma la prima sezione civile è di diverso avviso e dà ragione al marito.

Richiamando un indirizzo consolidato, la S.C. ha affermato che "la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti - ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche".


Pertanto, l'accordo con il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza "può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico predetto e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti ‘in occasione' della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali: art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutti leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purché non ledano diritti inderogabili".


I coniugi, dunque, possono ben concludere accordi nel quadro della complessiva regolamentazione dei lori rapporti in sede di separazione consensuale, che facciano convivere nello stesso atto sia pattuizioni "aventi causa concreta" sia quelle "aventi mera occasione nella separazione, le prime volte ad assolvere ai doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alle separazione e le seconde finalizzate semplicemente a regolare situazioni patrimoniali che non è più interesse delle parti mantenere invariate".

Tali pattuizioni, in sostanza, "si configurano come del tutto autonome e riguardano profili fra di loro pienamente compatibili, sebbene diverso ne sarà il trattamento allorché una delle parti ne chieda la modifica o la conferma, in sede di ricorso ad hoc ex art. 710 c.p.c. o in sede di divorzio".

Nel caso di un quid novi, infatti, che modifica la situazione pregressa, la variazione degli accordi sarà possibile soltanto con riguardo alle clausole aventi causa nella separazione e non già per i patti autonomi che regolano i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c.

Nella vicenda, il patto, riguardante la vendita a terzi della casa familiare e l'attribuzione del ricavato pro parte a ciascun coniuge, in proporzione al denaro investito (oltre all'attribuzione all'ex moglie del diritto di continuare ad abitarvi sino al momento dell'alienazione e all'obbligo del marito di pagare una percentuale del mutuo contratto a suo tempo dalla donna per sopraelevare l'immobile, nonché delle utenze e delle imposte sino alla vendita medesima), dà vita ad un "contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c., è caratterizzato da una propria causa, rispondendo ad un originario spirito di sistemazione, in occasione dell'evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali a pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale".


Pertanto, non avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione dei principi sopraesposti, la stessa va cassata e la parola passa al giudice del rinvio.

Cassazione, sentenza n. 16909/2015

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