Anche se il lavoratore finisce in carcere non è possibile licenziarlo. Parola di Cassazione. Secondo Piazza Cavour, infatti, il detenuto può solo perdere lo stipendio ma non può essere allontanato dal posto di lavoro. Tutto questo emerge da una sentenza (n.12721/2009 della Sezione lavoro) in cui la Corte convalida la reintegrazione di un lavoratore occupato in un' azienda con oltre 60 dipendenti, che, per lagioni non legate alla sua attività lavorativa era finito in carcere ed era stato licenziato in tronco per "assenza ingiustificata" dal luogo di lavoro. L'azienda nel corso del processo aveva evidenziato che la detenzione del lavoratore aveva deteminato un danno, giacché l'attività non si poteva consentire alcuna interruzione del normale ciclo produttivo. Di diverso avviso però la Suprema Corte che ha confermato la reintegra nel posto di lavoro già disposta dai giudici dell'Appello, con tanto di condanna della societa' al risarcimento dei danni.
Insomma la Corte è stata chiara: se il lavoratore finisce in carcere per motivi non legati al lavoro non va licenziato. In questi casi occorre infatti valutare le "esigenze oggettive dell'impresa, tenendo conto delle dimensioni della stessa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura e importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonche' del maturato periodo di assenza, della prevedibile durata della carcerazione, della possibilita' di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessita' di nuove assunzioni". E più in generale "di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilita' dell'assenza".

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