La comunicazione ha forme diverse ed ulteriori rispetto allo scritto, come l'illustrazione. La realizzazione della diffamazione aggravata dalla pubblicazione di foto

L'art. 595 comma 3 c.p.

È caso ricorrente (sempre più ricorrente) che la diffamazione aggravata - di cui all'art. 595 co. 3 c.p. - a mezzo stampa, si realizzi attraverso la pubblicazione di fotografie (per approfondimenti, dello stesso autore Reato di diffamazione aggravata sui social network).

Il reato in oggetto, nella sua previsione base di cui al co. 1, prevede espressamente che chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente [la depenalizzata ingiuria] offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a Euro 1.032.

La diffamazione è un delitto particolarmente interessante da un punto di vista dottrinale, che si verifica con la comunicazione dell'offesa a più persone; quando la comunicazione avviene in tempi diversi, esso si consuma nel momento in cui si perfeziona la comunicazione con la seconda persona.

In questo caso tuttavia ci riferiamo in particolare ad un'ipotesi aggravata di diffamazione che è espressamente prevista al co. 3 dello stesso articolo, che recita: se l'offesa è recata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a Euro 516.

La pubblicazione di fotografie diffamanti

Si consideri che è principio consolidato in giurisprudenza quello per cui (Cass. 30 marzo 2000, n. 5738) la comunicazione (sia essa sociale o giornalistica) non consiste unicamente in un testo parlato o scritto, in quanto l'attività ha forme diverse ed ulteriori rispetto allo scritto, come l'illustrazione.

La scelta delle fotografie che accompagnano un articolo, in ogni caso, difficilmente appartiene all'autore del servizio o dell'articolo, pertanto la pubblicazione di foto aventi natura diffamante è uno dei casi in cui può venire in rilievo una responsabilità diretta del direttore del giornale.

Tuttavia si evidenzia altresì che deve ritenersi sussistente in ogni caso un onere di controllo da parte del direttore anche per quel che riguarda la foto alla cui scelta non abbia concorso, sempre che non sia provato un suo concorso nella scelta della fotografia stessa (così V. Pezzella - La diffamazione - UTET 2020).

Altro aspetto dirimente è la presenza del consenso alla pubblicazione della fotografia da parte del diretto interessato.

Il consenso alla pubblicazione non vale come causa di non punibilità (o meglio, scriminante) del delitto di diffamazione se l'immagine è prodotta in un contesto comunque negativo, volgare o diffamante (Cass. 22 luglio 2008, n. 30664).

Ciò che rileva è se l'immagine sia riprodotta in un contesto diverso da quello per cui il consenso sia prestato, che implichi valutazioni peculiari, anche negative sulla persona effigiata.

Neppure può essere esclusa la portata "offensiva" dell'accostamento titolo/fotografia, per il solo fatto che sia difficile riconoscere nella foto selezionata la reale identità della persona rappresentata.

Non può condividersi, comunque, la tesi della sostanziale irrilevanza della foto, ad esempio, per la natura "scenica" della stessa. Infatti tale natura scenica sarebbe un dato noto soltanto alle persone fotografate, a chi ha scattato la foto ed eventualmente alla redazione del giornale, e non anche al lettore medio, al cui apprezzamento soltanto ci si deve riferire (Cass. 01.04.2020 n. 10967).

Tra l'altro si può comunque rispondere di diffamazione per la pubblicazione di una foto sbagliata.

Questo perché non sussiste la scriminante del diritto di cronaca laddove si pubblichi una notizia in sé vera, ma corredata da una foto di persona del tutto estranea alla stessa.

Casi particolari: il fotomontaggio

Anche in questo caso si deve avere come punto di riferimento l'offesa idonea ad integrare la diffamazione: se la comunicazione di immagini, tenuto conto del mezzo attraverso cui queste vengono veicolate, del concetto che trasmettono, presentino un significato intrinsecamente offensivo della reputazione del soggetto passivo, in quanto indebitamente inserite in un concetto di oscenità e volgarità e, quindi, deteriore (Cass. 29.03.2018 n. 36076).

Si tratta di una valutazione che necessariamente dovrà avvenire caso per caso, ciò si riferisce ovviamente ai casi in cui la natura dell'illustrazione si palesi come un evidente fotomontaggio, ovvero qualora non vi siano dubbi sulla sussistenza del reato di diffamazione eventualmente in concorso con quello di calunnia (così V. Pezzella - La diffamazione - UTET 2020).

La portata diffamatoria delle fotografie

Un parametro importante ai fini della connotazione diffamante è sicuramente la natura della pubblicazione.

In particolare si consideri la valutazione in merito alla natura pornografica della stessa.

Secondo la giurisprudenza non integra gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione la pubblicazione di un servizio fotografico non offensivo, lecito, corretto ed inserito in una rivista di nudi femminili in pose non oscene, con la conseguenza che la reputazione del soggetto fotografato non risulterà compromessa negativamente.

Pertanto ciò che rileverà è il contesto della pubblicazione.

Tale aspetto si inserisce nella più generale valutazione delle modalità complessive con le quali una notizia viene trasmessa.

Si consideri peraltro che la valenza diffamatoria delle fotografie di nudo non è più avvertita come tale, secondo i Giudici della Cassazione, dalla coscienza sociale collettiva.

Tuttavia in giurisprudenza si sostiene che l'inserimento di un articolo e di fotografie in una rivista pornografica, al contrario, lede la reputazione della parte lesa, per la generale condizione di un contesto degradato e di marcata volgarità, da non potersi certamente ritenere "di costume"; con ciò privando di ogni rilievo il carattere lesivo della fotografia in sé considerata.

Se sono presenti degrado e volgarità i servizi fotografici o giornalistici divengono offensivi e diffamatori, perché assumono un significato carico di ambiguità (V. Pezzella - La diffamazione - UTET 2020).

Fotografie scattate in privata dimora

Il caso di Villa Certosa del 2007 è certamente un classico esempio del rapporto tra diritto di cronaca e diffamazione. A ben vedere, però, il diritto di cronaca non è stato assolutamente ritenuto sussistente dai Giudici.

Il GIP del Tribunale di Milano ordinò infatti nel 2007 il sequestro preventivo di tutte le fotografie e dei negativi che ritraevano Silvio Berlusconi in compagnia di diverse ospiti nel parco della sua casa in Sardegna, tutte rinvenibili presso la sede del Corriere della Sera.

Tuttavia alcune di quelle fotografie erano già state pubblicate sul settimanale Oggi qualche mese prima, nel servizio fotografico "Le bagatelle di Berlusconi".

Nonostante l'intervenuto provvedimento, qualche mese prima, dell'Autorità garante della protezione dei dati personali, le immagini erano state quindi ripubblicate.

Il GIP rilevò che Berlusconi fosse stato fotografato mentre si trovava in un luogo c.d. di privata dimora, addirittura che le foto fossero state pubblicate nuovamente dopo un provvedimento già adottato dall'Autorità, ritenendo così sussistente il rischio di commissione di ulteriori reati da parte dei quotidiani con un gravissimo danno per la privacy.

Ecco allora subentrare un'ulteriore fattispecie, quella di cui all'art. 615 bis c.p. che prevede, come illecito, l'attività di chi, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva e sonora si procura notizie o immagini attinenti alla vita privata, svolgentesi nei luoghi di abitazione altrui o di privata dimora o nelle appartenenze della stessa. Tale norma punisce pertanto l'intrusione, anche grazie ai mezzi tecnologici oggi a disposizione, nel domicilio contro la volontà di chi ha la possibilità di impedire l'accesso.

Così scrivevano i Giudici della Cassazione, altresì evidenziando l'inosservanza del provvedimento del Garante Privacy. I difensori dei giornalisti deducevano la violazione della normativa che vieta il sequestro della stampa in sede cautelare (r.d.lg. 561/1946 ma altresì L. 47/1948) salvo che in presenza di reati previsti tassativamente, tra i quali non si riteneva potessero rientrare quelli ipotizzati, poiché le fotografie dovrebbero ritenersi "stampati".

Tale tesi non incontrò il benestare della Cassazione, la quale affermò la legittimità del sequestro (n. 17408/2008) ma altresì che non possono farsi rientrare tra gli stampati e le copie di quotidiani o periodici le fotografie ritraenti atteggiamenti della vita privata ottenuti con una condotta costituente reato.

La Corte ritenne che la tutela in questo caso dovesse essere ancora maggiore, proprio perché le fotografie non solo contengono "informazioni molto personali", ma furono altresì ottenute mediante condotte costituenti reato che "non attengono alla manifestazione del pensiero e non trasmettono idee".

Avv. Filippo Antonelli

Foro di Forlì-Cesena

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Foto: 123rf.com
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