Per chi adesca minorenni su Facebook cercando di convincerle a diventare delle baby squillo, la custodia in carcere è giustificata. Lo ha deciso la Corte di Cassazione (III sezione penale) con sentenza n. 31184 depositata il 16 luglio scorso, in una vicenda che ha per protagonista un uomo che ha tentato di adescare una sedicenne sul noto social network proponendole, dietro adeguato compenso, di prostituirsi, partecipando a feste private, in cui avrebbe dovuto esibirsi indossando solo un perizoma e intrattenere i partecipanti, lasciandosi palpeggiare dagli stessi.

All'uomo, indagato per il reato ex art. 56 e 600-bis 1° comma c.p., veniva applicata dal Gip la misura della custodia cautelare in carcere, confermata anche dal Tribunale di Roma in sede di riesame su istanza del prevenuto, il quale ricorreva pertanto in Cassazione, denunciando l'assoluta sproporzione tra i fatti contestati e la custodia intramuraria applicata e chiedendo invece l'applicazione di una misura meno afflittiva in grado di garantire comunque le esigenze cautelari ritenute sussistenti.

Per la Cassazione, il ricorso è inammissibile. Avvalorando le tesi del Tribunale romano, i giudici di piazza Cavour infatti hanno ritenuto che la condotta del prevenuto - obiettivamente desumibile dai termini dell'approccio informatico e dai ripetuti contatti, anche di persona, con la minore, consistente in un'opera di convincimento "insistente e prolungata", tesa a "blandire, incoraggiare e condizionare il processo volitivo della vittima in relazione a prestazioni sessuali retribuite con un numero indeterminato di potenziali clienti" - ha tutti gli elementi "cristallizzanti l'ipotesi di reato contestata".

Del pari, ha ritenuto la Cassazione, infondata l'eccepita sproporzione tra i fatti ascritti all'uomo e la misura cautelare massima in atto, data l'evidente "pericolosità sociale

della personalità dell'indagato, che rende particolarmente intenso il pericolo di recidiva specifica, valutando la natura del reato contestato, rispondente ad istinti difficilmente comprimibili e controllabili, e le modalità seriali ed insidiose" con le quali il prevenuto ha agito per adescare in rete il soggetto minorenne. Pertanto, ha concluso la S.C. "la custodia cautelare in carcere è da considerare l'unica adeguata a fronteggiare tale pericolo", dichiarando inammissibile il ricorso.

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