La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10814 dell'8 maggio 2013, ha affermato la legittimità del licenziamento irrogato senza preavviso al lavoratore al quale era stato contestato un comportamento consistito in un acceso diverbio con una collega e che, per le modalità dell'episodio (discussione culminata nel lancio di un carrello porta vivande che aveva colpito un'altra dipendente) e per la futilità dei motivi che lo avevano scatenato, si riteneva violasse l'art. 123 del CCNL ed infrangesse irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il lavoratore. 

La Suprema Corte, respingendo il ricorso del lavoratore - che denunciando l'illegittimità dell'iter procedimentale che aveva condotto all'irrogazione del licenziamento senza preavviso, sosteneva che la società datrice di lavoro, violando i principi in tema di necessario esperimento del procedimento disciplinare ed in violazione del diritto di difesa garantito anche dall'art. 24 Cost. aveva omesso di deferire il dipendente alla commissione di disciplina, privandolo così della possibilità di una difesa effettiva -, ha precisato che dalla lettura della sentenza impugnata si evince che l'addebito è stato ritualmente contestato e che il procedimento disciplinare ha seguito un corso del tutto regolare

Con il ricorso - si legge nella sentenza

- il lavoratore tende ad un riesame delle emergenze istruttorie, sinteticamente ma adeguatamente esaminate dalla corte territoriale, la quale all'esito della loro valutazione ha ritenuto accertato il comportamento (sostanziatosi in un diverbio litigioso con colleghi seguito da vie di fatto), la sua gravità e la sua idoneità a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario anche sulla base di una esplicita previsione collettiva (art. 123 ccnl). Nonostante il lavoratore sostenga che non si sarebbe trattato di un comportamento aggressivo ma, semmai, di una condotta offensiva che non è riconducibile alla fattispecie collettiva in relazione alla quale è consentita la risoluzione del rapporto, i Giudici di legittimità evidenziano "che la censura, per come è formulata, non investe un giudizio di logicità della motivazione ma pretende una revisione del ragionamento decisorio secondo una ricostruzione che il ricorrente ritiene a sé più favorevole ma non è sostenuta dalla prospettazione alcun elemento di fatto decisivo il cui esame sia stato omesso e che, ove valutato, avrebbe potuto determinare una diversa conclusione del giudizio." Ricordano poi i giudici di Piazza Cavour che "il giudizio di proporzionalità della sanzione, rispetto all'addebito contestato, è un giudizio di fatto che è riservato al giudice del merito e non è censurabile in cassazione ove sia stato, come nel caso in esame, congruamente, adeguatamente e logicamente motivato.".


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