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La chiusura delle indagini preliminari

Le indagini preliminari non possono durare in eterno ma devono concludersi entro termini ben precisi, stabiliti dall'articolo 405 c.p.p.

Termini di durata delle indagini

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In particolare, per regola generale le indagini non possono protrarsi oltre sei mesi o un anno (qualora si tratti di reati gravi) dal giorno in cui il nome dell'indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato o, se si tratta di reati perseguibili a querela, istanza o richiesta, dal giorno in cui tali atti pervengono al pubblico ministero. Se è necessaria l'autorizzazione a procedere, poi, il termine resta sospeso dal momento della richiesta a quello in cui il p.m. ottiene l'autorizzazione.

Proroga delle indagini preliminari

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Prima che scada il termine previsto per la chiusura delle indagini, il p.m. può chiedere al giudice una proroga di sei mesi purché ricorra una giusta causa, indicando la notizia di reato ed esponendo i motivi per i quali è necessario un tempo maggiore rispetto a quello ordinariamente previsto.

Se poi le indagini sono particolarmente complesse o vi è un'oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato, il pubblico ministero può chiedere ulteriori proroghe, ciascuna di durata massima pari a sei mesi. Se si procede per i reati di cui agli articoli 572, 589, 2° comma e 590, terzo comma e 612-bis c.p. la proroga può essere concessa una sola volta.  

Notifica della richiesta di proroga

A cura del giudice, la richiesta di proroga è notificata all'indagato e alla persona offesa dal reato che ha dichiarato di voler esserne informata. Tali soggetti vengono anche avvisati della possibilità di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione.

Provvedimenti sulla richiesta di proroga

La proroga è autorizzata dal giudice con ordinanza emessa in camera di consiglio, senza l'intervento né del p.m. né dei difensori. 

Se invece ritiene che la proroga non vada concessa, il giudice fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al p.m., all'indagato ed eventualmente alla persona offesa.

Durata massima delle indagini preliminari

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Le proroghe, anche qualora ammesse, non possono in ogni caso protrarre la durata complessiva delle indagini preliminari troppo a lungo. 

L'articolo 407 del codice di procedura penale, infatti, stabilisce che la durata complessiva delle indagini può essere al massimo di diciotto mesi o due anni se si tratta di reati gravi ricompresi nell'elenco dettagliato di cui al secondo comma.

Inutilizzabilità delle indagini

Il rispetto dei predetti termini è molto importante posto che, secondo il disposto dell'articolo 407, comma 3, c.p.p., qualora il p.m. non eserciti l'azione penale e non richieda l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine preliminare compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati. Come precisato già da diverso tempo dalla Corte di cassazione, la preclusione non opera nei confronti del compimento di qualsiasi attività processuale, ma solo per "quegli atti che, per contenuto o funzione, riguardano le indagini stesse ovvero l'acquisizione delle prove, con la conseguenza che anche a termine scaduto, nel caso in cui il p.m. non abbia ancora esercitato l'azione penale e il procuratore generale quello di avocazione, il p.m. può richiedere e il giudice provvedere all'applicazione delle misure cautelari e, in particolare, del sequestro preventivo, atteso che questo non è atto ad efficacia probatoria" (Cass. Pen. n. 12294/2001).

Per quanto riguarda invece gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice, gli stessi sono utilizzabili a meno che il provvedimento non sia negativo e gli atti non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini.

Esito delle indagini preliminari

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Al termine delle indagini il p.m. può:

  • chiedere l'archiviazione della notizia di reato (obbligatoriamente nel caso previsto dall'art. 405, comma 1-bis, c.p.p., quando la Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine all'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non sono stati acquisiti successivamente ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini), informandone la persona offesa, che può proporre opposizione entro venti giorni chiedendo "la prosecuzione delle indagini preliminari indicando, a pena di inammissibilità, l'oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova" (art. 410 c.p.p.);
  • esercitare l'azione penale formulando l'imputazione, "nei casi previsti nei titoli II, III, IV e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio" (art. 405 c.p.p.), non prima di aver notificato all'indagato un avviso di conclusione delle indagini contenente "la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto" e "l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia e che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni, di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio" (art. 415 bis c.p.p.).

Va poi detto che la legge 103/2017 ha introdotto il comma 3-bis dell'art. 407 c.p.c., che dispone che, in ogni caso, "il pubblico ministero è tenuto a esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415-bis". Il termine può essere prorogato per ulteriori tre mesi in caso di indagini particolarmente complesse. Per delitti di particolare gravità tale termine è pari a quindici mesi.

Avocazione delle indagini preliminari

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Di fronte all'eventuale inerzia dell'ufficio inquirente, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del pubblico ministero negligente (Cass. Pen., sez. un., n. 16/2000), il sistema del codice di rito prevede lo specifico rimedio dell'avocazione delle indagini da parte del procuratore generale presso la Corte d'Appello.

Il potere di avocazione, disciplinato dagli articoli 412 e 413 del codice di procedura penale, rappresenta un mezzo di garanzia teso a rimediare all'inerzia e/o alle omissioni del pubblico ministero, oltre che uno strumento di sicurezza per assicurare l'epilogo del procedimento penale in caso di situazioni di stasi, anche involontarie, in ottemperanza al principio fondamentale dell'obbligatorietà dell'azione penale sancito dall'ordinamento giuridico.

Ipotesi di avocazione

L'esercizio dell'avocazione comporta, di fatto, la sottrazione delle indagini all'organo inquirente a favore dell'ufficio del procuratore generale, per cui il legislatore codicistico si è preoccupato di stabilire specificamente le ipotesi in cui ciò possa avvenire.

Secondo il primo comma dell'art. 412, 1° comma, c.p.p., infatti, l'avocazione va obbligatoriamente esercitata, a seguito dell'inerzia del p.m., nelle sole due ipotesi ivi indicate: quando lo stesso non provveda ad esercitare l'azione penale oppure a richiedere l'archiviazione entro i termini stabiliti dalla legge o prorogati dal giudice. 

Al fine di permettere un controllo sulla presenza delle ragioni giustificatrici del ricorso all'avocazione da parte del procuratore generale, è stabilito che tale potere venga esercitato "con decreto motivato".

Il comma 2 dello stesso articolo, invece, prevede che il procuratore generale può facoltativamente disporre l'avocazione a seguito della comunicazione della fissazione dell'udienza in camera di consiglio disposta dal giudice ai sensi del secondo comma dell'articolo 409.

Anche al fine di consentire al procuratore l'esercizio d'ufficio dell'avocazione delle indagini, l'articolo 127 delle disposizioni di attuazione dispone che la segreteria del pubblico ministero è tenuta a trasmettere al procuratore generale presso la corte d'appello, settimanalmente, un elenco delle notizie di reato pendenti, contro persone note, per le quali non è stata ancora né esercitata l'azione penale né richiesta l'archiviazione nei termini di legge o di quelli prorogati dal giudice.

Avocazione su impulso dell'indagato o della persona offesa

Infine, qualora l'avocazione non venga esercitata d'ufficio, se il p.m. non ha provveduto a esercitare l'azione penale oppure a richiedere l'archiviazione entro i termini stabiliti dalla legge o prorogati dal giudice, l'art. 413 c.p.p. legittima sia la persona sottoposta alle indagini che quella offesa dal reato a chiedere al procuratore generale di attivarsi in tal senso. 

Data: 18 maggio 2021