Sei in: Home » Guide Legali » fisco » Imposta sul valore aggiunto (IVA)

Imposta sul valore aggiunto (IVA)

L'imposta sul valore aggiunto (IVA), introdotta in Italia con Dpr n. 633/1972, è un'imposta indiretta su tutti i beni e servizi scambiati che grava sul consumatore finale. L'aliquota IVA principale nel nostro Paese è pari al 22%

Cosa vuol dire imposta sul valore aggiunto


L'imposta sul valore aggiunto, cioè l'Iva, è la più importante fonte di entrate tributarie a favore dello Stato. Si tratta di un'imposta indiretta che grava su una prestazione di servizi o una cessione di beni: insomma, non sulle persone ma sui consumi. 

Presupposti dell'imposta sul valore aggiunto

Il presupposto oggettivo dell'Iva è che vi sia una cessione a titolo oneroso di qualunque tipo: può essere, quindi, un trasferimento di beni, sia sotto forma di vendita che sotto forma di permuta, ma anche un trasferimento di diritti reali di godimento, come locazioni o usufrutti.

Su chi grava l'imposta sul valore aggiunto


L'imposta sul valore aggiunto viene applicata con obbligo di rivalsa su ogni cessione: ciò vuol dire che il fornitore ha l'obbligo di addebitare l'Iva al cliente, per poi versarla allo Stato. 

L'Iva dovuta non è altro che l'Iva a debito sulle vendite meno l'Iva a credito sugli acquisti. Questo è possibile in virtù del sistema della detrazione, per il quale viene versata unicamente l'imposta sulla differenza tra le vendite e gli acquisti: è su tale differenza che viene assoggettato il valore aggiunto del servizio o del bene. 

L'Iva è un tributo neutrale poiché ogni soggetto che ha un ruolo nella produzione di servizi o beni e nel loro scambio - che si tratti del produttore, del venditore, di un intermediario, e così via - paga al fornitore l'imposta per poi detrarla. Può succedere che l'Iva venga anticipata dall'operatore economico, per esempio se l'imposta viene versata prima che la fattura venga effettivamente incassata, ma non può succedere che un importo venga corrisposto senza poi essere recuperato. 

Ovviamente, a “risentire" dell'imposta sul valore aggiunto è il consumatore finale, che è colui che la paga concretamente, poiché non può detrarre l'Iva che grava sui servizi e sui beni che acquista.

Aliquote Iva


L'imposta sul valore aggiunto prevede varie aliquote: quella ordinaria è pari al 22%, ma ce ne sono due ridotte, pari al 4 e al 10%. 

Aliquota minima

L'aliquota Iva al 4%, nota anche come aliquota minima, viene applicata sulle vendite dei generi di prima necessità: tra questi rientrano non solo i prodotti alimentari, ma anche - per esempio - i quotidiani e le riviste periodiche. 

Aliquota ridotta

L'aliquota Iva al 10%, nota anche come aliquota ridotta, viene applicata su alcune operazioni di recupero edilizio, su alcuni prodotti alimentari e sui servizi turistici che vengono offerti dai ristoranti, dai bar, dagli alberghi, eccetera. 

Aliquota ordinaria

L'aliquota Iva al 22%, nota anche come aliquota ordinaria, viene applicata - infine - in tutti gli altri casi. 

Aliquote Iva in Europa

In altri Paesi europei, le aliquote sull'imposta sul valore aggiunto sono differenti: in Germania, per esempio, l'aliquota ordinaria è al 19%, quella minima è 0 e quella ridotta è al 7%; in Austria l'aliquota ordinaria è al 20% e quella ridotta al 10; in Polonia l'aliquota ordinaria è al 23% e quella ridotta all'8; in Svezia l'aliquota ordinaria è al 25%, quella minima al 6 e quella ridotta al 12.

Prescrizione Iva


La prescrizione per l'imposta sul valore aggiunto ha una durata di dieci anni: trascorso questo lasso di tempo, i debiti fiscali - tra i quali, appunto, anche quelli che riguardano l'Iva - devono essere considerati annullati e i pagamenti non sono più esigibili. 

È opportuno, in ogni caso, distinguere i termini di prescrizione dalla decadenza di una cartella di pagamento: quest'ultima riguarda la sanzione prevista per non aver compiuto un'azione indispensabile per l'acquisizione di un diritto, mentre la prescrizione riguarda la sanzione prevista per non aver esercitato entro i termini un diritto. 

Iva riscossa all'importazione


L'imposta sul valore aggiunto riscossa all'importazione riguarda l'introduzione nel nostro Paese di beni che provengono da territori al di fuori dell'Unione Europea e che non sono già stati immessi in un altro Paese della Ue. 

È presupposto di applicazione Iva la messa in pratica di importazione di beni, a prescindere che sia eseguita nell'esercizio di professioni, arti o imprese: l'imposta sul valore aggiunto deve essere pagata in dogana, e il pagamento avvenuto è testimoniato dal rilascio della bolla doganale. 

L'Iva che viene applicata sui beni importati si basa sulla stessa aliquota stabilita per le cessioni interne. Per il calcolo della base imponibile all'importazione, si fa riferimento alla somma del valore di transazione, che corrisponde al valore doganale della merce importata, e delle spese accessorie antecedenti rispetto all'importazione. Non si deve pagare l'Iva sui diritti doganali di confine come i diritti di monopolio e i dazi di importazione: se così non fosse, infatti, si finirebbe per pagare un'imposta su un'imposta. Sono escluse dall'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto anche le sovrimposte di confine e tutte le altre imposte o sovrimposte di consumo. Le operazioni di ammissione temporanea, le operazioni di perfezionamento attivo e le operazioni di immissione in libera pratica sono tutte ritenute importazioni ai fini Iva.

Data aggiornamento 30 ottobre 2022