di Marino Maglietta - E' stato ripetutamente segnalato, nella fase di confinamento domestico dalla quale in Italia non si è ancora completamente usciti, il sacrificio supplementare a carico delle madri separate conseguente alla necessità di ospitare, curare e assistere prevalentemente i figli, impediti nella frequentazione scolastica, a causa della misura largamente prevalente con la quale vengono indicate come "genitore collocatario" nei provvedimenti giudiziali. In effetti, la penalizzazione già disposta nelle situazioni ordinarie è stata addirittura esaltata da alcuni interventi di giudici di prime cure in tempo di corona-virus. Se, infatti, il primo decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri, emanato nel mese di marzo e confermato successivamente, stabiliva la conservazione delle regole già fissate in giudizio, non sono mancati provvedimenti di diverso segno (ad esempio tribunali di Vasto e di Bari e Corte d'appello di Bari), anche per effetto di forti sollecitazioni mediatiche, che hanno invece preteso la stabilizzazione dei figli presso il "genitore collocatario" sopprimendo i contatti con l'altro genitore. A giustificazione di ciò è stata invocata la necessità di evitare il continuo andirivieni dei figli da una casa all'altra in quegli incontri pomeridiani frammentari che rappresentano l'esercizio del cosiddetto "diritto di visita" del cosiddetto "non collocatario". È stato fatto anche notare, nella circostanza, che un regime del genere anzitutto - limitatamente alle coppie separate - rappresentava evidentemente una maggiore fatica e una maggiore esposizione al rischio di contagio per il genitore prevalentemente presente (ovvero la madre), vista sia la maggiore densità domestica che la necessità di uscire più spesso per provvedere ai bisogni dei figli. Inoltre, allargando l'attenzione alle coppie ancora conviventi, si è fatto notare che la forzata convivenza a tempo pieno appesantiva il disagio e la sofferenza di donne compagne di uomini maltrattanti, costrette a subirne in misura maggiore la prepotenza e la violenza.
Una analisi di questo genere, d'altra parte, ha trovato anche qualche lungimirante riconoscimento nella modifica di alcuni provvedimenti giudiziari. L'esempio più illuminante può essere fornito da una decisione del tribunale di Verona (27 marzo 2020) che ha cambiato la tempistica della frequentazione precedentemente stabilita instaurando un regime di alternanza paritetica di 15 giorni in 15 giorni per tutta la durata dell'emergenza. La stessa Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) ha svolto considerazioni simili, giungendo lucidamente ad auspicare che un regime paritetico alternato di frequentazione come quello del TO di Verona possa diventare la prassi normale per le famiglie separate, a prescindere dalle condizioni attuali, che si sperano transitorie. Dopo avere osservato che: "Accade, infatti e non di rado, che il genitore indicato nel provvedimento come "collocatario" ritenga di avere maggiori diritti … o che il "non collocatario" non si occupi del figlio", conclude infatti ".. E' dunque più che probabile che il problema abbia una matrice culturale, la cui responsabilità è da individuare all'interno del sistema legale. In altre parole, la discriminazione fra genitori - entrambi affidatari ed entrambi parimenti responsabili della cura, educazione e istruzione dei figli introdotta dall'invenzione del genitore prevalente come figura giuridica - dovrebbe essere fatta cessare, come è avvenuto in molti Tribunali".
Tutte queste considerazioni, che di per sé possono apparire banali per quanto sono intuitive, trovano oggi una formulazione sistematica, pronta per una svolta operativa, per merito dell'iniziativa di una persona che sulla base del proprio vissuto e delle sue competenze giuridiche (è Consigliere di Stato) ha inteso scrivere un emendamento al Decreto Rilancio che andrebbe a sanare strutturalmente, anziché episodicamente, gli inconvenienti sopra accennati. Si tratta di una donna magistrato - non ha alcuna importanza il suo nome - che ha scelto di rivolgersi indistintamente a tutte le forze politiche, governo e opposizione, affinché prendano in considerazione i rimedi che l'emendamento suggerisce, validi anzitutto per i lunghi mesi che ancora ci attendono prima di tornare a un regime che possa definirsi normale. La proposta (v. allegato) anzitutto permette di modificare a domanda il regime di frequentazione stabilito, introducendo come soluzione prioritaria quella adottata dal tribunale di Verona. Interessante notare anche che per ottenere la modifica è previsto un percorso accelerato e che comunque è lasciata all'altro genitore la possibilità di opporsi, motivatamente, al provvedimento richiesto.
Comunque, al di là dell'opportunità, se non della necessità, di una regolamentazione organica delle situazioni considerate si fa apprezzare la motivazione che l'accompagna, innovativa e creativa, non solo esplicitata nella relazione di accompagnamento, ma presente in buona parte anche nello stessa norma. Rammentate, infatti, le basi giuridiche che impegnano entrambi i genitori pariteticamente a prendersi cura dei figli, fondate sia sulla Costituzione che sulla convenzioni internazionali, nonché il carattere indisponibile del diritto dei figli alla bigenitorialità - che dovrebbe fare del regime paritetico l'ipotesi prioritaria considerata prima di qualsiasi decisione - occupa una posizione di tutto rilievo anche la parità nel centrale diritto al lavoro, riservato dalla Costituzione a i cittadini di entrambi i generi (artt. 1 e 3 della Costituzione). D'altra parte, vengono poi esemplificati i più frequenti e pesanti tipi di occupazione della donna che maggiormente la sacrificano quando le si chiede anche di provvedere in misura prevalente ai bisogni dei figli. Una tesi che dà adeguata risposta alle ripetute - giuste ma sterili - lagnanze per il mancato riconoscimento alla donna di pari opportunità nel lavoro, oltre che nella vita privata. Uno squilibrio evidenziato dal Global Gender Gap Report 2020, che pone l'Italia al 76° posto nella classifica mondiale rispetto alla parità salariale tra uomini e donne, precisando che una donna italiana guadagna in media circa 17.900 euro l'anno rispetto ai 31.600 maschili, pur a fronte di molte più ore lavorate, proprio a causa della molto maggiore quantità di tempo dedicato al lavoro non retribuito, domestico e per la cura dei figli. Ora, la separazione in regime di affidamento condiviso, dividendo i focolari e chiamando padri e madri allo stesso impegno, fornirebbe loro un'occasione storica per raggiungere la parità, se non fosse stata inventata, contro lo lettera e lo spirito della normativa in vigore, la figura del "genitore collocatario", identificato correntemente con la madre.
L'emendamento proposto fa, tuttavia, un passo in più, affrontando anche il problema dei maltrattamenti in famiglia e ricollegandolo con la penalizzazione economica, in forza di una riflessione intelligente e del tutto originale, anche rispetto alla tesi tradizionale di un certo femminismo di oggi, che vorrebbe giungere al bilanciamento economico per via assistenziale, attraverso improbabili e antistorici assegni da versare al genitore accudente, per ripagarlo della maggiore fatica. Sostiene, infatti, l'autrice che, limitatamente alle coppie ancora conviventi, se una donna maltrattata resta ugualmente accanto al persecutore è molto spesso per motivi di materiale bisogno. Dunque, incentivare le risorse femminili attraverso la parità nei sacrifici domestici proteggerebbe la donna sia, direttamente, dalla violenza economica che, indirettamente, anche da buona parte di quella fisica e psicologica, alla quale potrebbe sottrarsi mettendo fine alla convivenza.
Impostato così il problema, la soluzione proposta dall'emendamento appare decisamente meritevole di essere accolta dal Parlamento e dal Governo, del tutto trasversalmente, così come è stata presentata e sta girando tra le forze politiche.
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