Di Laura Tirloni - Psicologa clinica

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Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, già dichiarati illegittimi nel 2003, chiudono i battenti il primo aprile 2014. In sostituzione saranno predisposte strutture residenziali alternative che tuttavia, e qui risiede la vera svolta, non saranno più gestite dall'autorità giudiziaria, bensì dalla Sanità Pubblica, così come previsto dalla Legge.

Di conseguenza, l'onere della gestione di queste strutture sarà di competenza delle Regioni e le Aziende Sanitarie locali dovranno istituire programmi di riabilitazione e reinserimento sociale per i soggetti che saranno dimessi.

La chiusura è fortemente caldeggiata da diverse associazioni (riunite sotto lo slogan 'StopOPG'), che ne sottolineano le condizioni aberranti di vita e la fatiscenza delle strutture, ormai obsolete. Inoltre, nonostante che molti degli attuali internati abbiano scontato la pena e siano ritenuti non socialmente pericolosi e quindi potenzialmente dimissibili, questi tendono a rimanere nelle strutture proroga dopo proroga. La sfida sarà ora quella di evitare che le prossime strutture residenziali ricalchino le gesta degli attuali ospedali, i quali, più che luoghi deputati alla cura, rappresentano strutture di mero contenimento fisico. A tale scopo, le associazioni caldeggiano anche l'istituzione di nuovi servizi di salute mentale che integrino i servizi territoriali e che promuovano la formazione lavorativa e il reinserimento sociale. A favore della chiusura si è schierato anche il Presidente Napolitano, definendo gli OPG un "estremo orrore che umilia l'Italia rispetto al resto dell'Europa". A lui si uniscono anche alcuni Senatori e Senatrici, che oltre alla chiusura sottolineano la necessità di evitare, nel modo più assoluto, qualsiasi futura pratica che riproduca la logica manicomiale. Al contrario, sarà ritenuta prioritaria l'istituzione di percorsi di cura e di assistenza.

Allo stesso modo, la Società Italiana di Psichiatria, pur esprimendosi a favore della chiusura degli OPG, mostra una certa preoccupazione rispetto alla preparazione delle Regioni nel farsi carico di una realtà così complessa. Occorrerebbero infatti, interventi strutturali tali da garantire la sicurezza, sia dei pazienti che degli operatori e della comunità, tutta. Al contrario, i reparti sono al momento aperti e probabilmente non sufficientemente preparati a gestire, da soli, pazienti che possono reiterare un delitto. Questo tra l'altro potrebbe portare a decidere di trasferire gli internati più difficili all'interno di carceri, già sovraffollate.

Dal momento, quindi, che la legge affida alle aziende sanitarie la responsabilità di avviare progetti terapeutici individuali per la cura del disturbo psichico, per la riabilitazione e il reinserimento, ci sarebbe da aspettarsi uno sviluppo dei servizi territoriali. Questo ovviamente dipenderà da come la legge verrà applicata in ogni singola Regione e da come le risorse assegnate verranno utilizzate.


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