In questa Italia in cui l'economia sta andando a rotoli, toccandoci molto da vicino, è veramente "di conforto" sapere che anche i dipendenti del Senato hanno indetto, tramite Cgil, un'assemblea sindacale. Perché, udite udite, rischiano di perdere alcuni privilegi. Mica il posto di lavoro. Ora, se io fossi un lavoratore della Ilva o della Alcoa (oltre che delle centinaia di situazioni meno note per le dimensioni ridotte dei tagli e della protesta), mi fionderei immediatamente davanti a Palazzo Madama, e chiederei ad un qualsiasi rappresentante dei sindacati interni: perché? Perché la motivazione di questa protesta, che si spera non porterà nessuno del suddetto palazzo a scendere in piazza (se no temo che questa volta la Rivoluzione ci sarà, e per sul serio!), è a dir poco imbarazzante. Imbarazzante persino per una politica che già ci ha abituati a tante ingiustzie e scorrettezze.

Motivo della protesta senatoriale è la tanto temuta abolizione del cosiddetto scatto di stipendio. Quello su cui ormai pochi, pochissimi, lavoratori italiani possono contare (tra i pochi i giornalisti) e che in troppi invece continuano a sognare.

Lo scatto d'aumento automatico per gli impiegati pubblici venne messo in forte discussione già da Craxi nel 1984, ma ci volle un referendum (voluto dal Pci) ed un paio di legislazioni per eliminarlo del tutto (o quasi). Arrivando così al dl n.29 del 3 febbraio 1992. Una data che ai tempi in molti si saranno segnata, convinti che potesse rappresentare una svolta epocale nel nostro bilancio economico statale. A sopravvivere al taglio ci furono appunto gli impiegati nell'istruzione pubblica. Tranne l'aver eliminato con il passare del tempo (e delle legislazioni) lo scatto dovuto dopo due anni di lavoro, e mantenendo solo quelli di sei anni in sei anni. Il tutto per avere a fine carriera un incremento di circa il 50% del proprio stipendio. Ora, non pensiamo a insegnanti che grazie a questo meccanismo possono diventare milionari, giusto forse arrivare ad uno stipendio che sfiori la cifra di due, invece che essere più prossimo a quella di uno. Parlando ovviamente di migliaia di euro.

Dai tagli purtroppo (e ovviamente) vennero preservati dipendenti al Senato, Camera, Corte costituzionale e Cnel. E in questo ha contribuito anche il caro Pdl, che nel 2008, per compiacere molti sostenitori (non elettori cittadini ma eletti politici) hanno ripristinato i ritocchi che la sinistra era riuscita ad apportare ai contratti d'oro dei dipendenti di Palazzo. Grazie alla vittoria alle elezioni, il centrodestra ci ha regalato un aumento degli stipendi e pensioni della casta, come "premio fedeltà" ai sostenitori che contavano.

Tanto per rendere l'idea. Al Senato lavorano 901 dipendenti. La spesa totale per i loro emolumenti nel 2011 è stata di 134 milioni di euro. Retribuzione media pari a 149.300 euro. E qui non si parla solo di cariche istituzionali di un certo peso....ma anche di stenografi e assistenti. Se si tiene duro infatti gli stipendi anche più bassi al Senato possono gonfiarsi in maniera esponenziale. Si può passare da uno stipendio minimo di circa 38 mila euro (!) e arrivare a quello rilevantissimo di quasi 160 mila euro (stra!). Per carità dopo quarant'anni di lavoro e onoratissima carriera. Ma in quanti possono avere lo stesso trattamento economico prima del pensionamento?

E tutto questo non grazie a benfits o promozioni, ma semplicemente grazie alla rivalutazione triennale dell'inflazione e agli scatti di progressione automatici, che invece sono biennali. Il Governo (precedente) ci ha sempre tenuto a sottolineare che erano stati effettuati tagli a Palazzo Madama. Si, certo 37 dipendenti sono andati in pensione nel 2011. Risultato: aumento del 7% dei costi. Giusto anche per farci riflettere sul fatto che tagliare sul personale amministrativo pubblico non necessariamente è una giusta soluzione alla crisi economica. Resta sempre la valida alternativa, che farebbe realmente piazza pulita di tanti cerca-soldi-facili (nulla contro il Senato che forse resta una delle ultime istituzioni decenti): tagliare gli stipendi. Chissà che qualcuno mai possa concretamente farlo. Invece di propagandare uscite dall'Europa, come unica soluzione alla ripresa economica.

Ora però, mio caro Senato, forse proprio in funzione del fatto che siete una delle poche istituzioni fatte da professionisti seri e preparati, perché non vi mettete una mano sul cuore e invece di scendere in piazza per protestare sul possibile taglio dei vostri privilegi non guardate in faccia quel povero operaio che rischia di perdere il lavoro? E oltre a guardarlo, provate a fare come la Fornero (nel suo magari mal riuscito approccio diretto), parlateci. Chiedetegli perché protesta e spigategli perché Voi lo fate. Rischierete moltissimo, ne sono certa, ma indubbiamente capirete moltissimo.

p.s. Ce ne dovrebbero essere ancora parecchi in giro per Roma e davanti ai Palazzi che contano.
Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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