"Criteri funzionali all'accertamento della colpa medica - la prova della cui assenza grava, nelle fattispecie di responsabilità contrattuale quale quella di specie, sempre sul professionista/debitore (Cass. ss.uu. 13533/2001, sia pur con riferimento a vicenda processuale diversa dall'inadempimento del medico) - risultano essere, in astratto, quelli: a) della natura, facile o non facile, dell'intervento del medico; b) del peggioramento o meno delle condizioni del paziente; c) della valutazione del grado di colpa di volta in volta richiesto: lieve, nonché presunta, in presenza di operazione routinarie; grave, sia pur sotto il solo profilo della sola imperizia (Corte cost. 166/1973), se relativa ad interventi che trascendano la ordinaria preparazione media ovvero non risultino sufficientemente studiati o sperimentati, salvo l'ulteriore limite della particolare diligenza e dell'elevato tasso di specializzazione richiesti in tal caso al professionista; d) del corretto adempimento tanto dell'onere di informazione - con conseguente consenso del paziente -, quanto dei successivi obblighi del paziente stesso attraverso il successivo controllo degli effetti dell'intervento".
È questo il principio ricavabile dalla lettura di una recente pronuncia della Suprema Corte (n. 3520/2008) nella quale gli "ermellini" sono tornati ad esprimersi in materia di ripartizione dell'onere probatorio nell'ambito di un'ipotesi di responsabilità di un odontoiatra per tardivo impianto di una protesi dentaria (ad oltre sette mesi di distanza dall'estrazione dei denti).
La Corte ha quindi precisato che "spetta al medico/debitore la prova della mancanza di colpa (sub specie della sopravvenienza, nella serie causale che dall'intervento ha condotto all'evento di danno, di un fatto inevitabile o imprevedibile), mentre il paziente è tenuto soltanto a provare il rapporto (nella specie, contrattuale) con il professionista e la riferibilità a quest'ultimo dell'intervento, allegando il risultato peggiorativo conseguito".
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