La sentenza del CNF
Con la sentenza n. 139 del 2025, pubblicata il 5 novembre sul sito ufficiale del Codice deontologico forense, il Consiglio nazionale forense ha affrontato il tema della validità e della prova delle comunicazioni inviate all'avvocato tramite posta elettronica ordinaria (PEO).
Il CNF ha affermato che, a differenza della posta elettronica certificata (PEC), l'email ordinaria non garantisce certezza né dell'avvenuta spedizione né della ricezione del messaggio, con rilevanti conseguenze anche sul piano disciplinare.
Il fatto oggetto del procedimento disciplinare
Il procedimento trae origine dalla contestazione disciplinare mossa a un avvocato che aveva continuato a svolgere l'incarico professionale nonostante il cliente sostenesse di avergli revocato il mandato tramite email ordinaria.
L'avvocato aveva negato di aver ricevuto tale comunicazione, precisando di non essere mai venuto a conoscenza della revoca e di aver proseguito legittimamente l'attività difensiva nell'interesse del cliente.
Sulla base di tali circostanze, veniva ipotizzata una violazione deontologica per indebita prosecuzione del mandato.
Email ordinaria e assenza di certezza della comunicazione
Il CNF ha evidenziato che la posta elettronica ordinaria non offre alcuna garanzia circa l'effettivo recapito del messaggio al destinatario. Diversamente dalla PEC, la PEO non consente di dimostrare con certezza né l'invio né la ricezione della comunicazione.
Ne consegue che la prova di un atto giuridicamente rilevante, quale la revoca del mandato difensivo, non può fondarsi esclusivamente sull'allegazione dell'invio di una email ordinaria.
Nessun obbligo deontologico di controllo continuo della PEO
Un passaggio centrale della decisione riguarda l'esclusione di un onere, in capo all'avvocato, di monitorare costantemente la propria casella di posta elettronica ordinaria.
Il CNF ha chiarito che non esiste un obbligo giuridico o deontologico di consultazione continua della PEO, anche in considerazione del fatto che tali caselle sono frequentemente congestionate da comunicazioni prive di rilievo professionale, messaggi promozionali o posta indesiderata.
Addossare al professionista un simile onere equivarrebbe a introdurre un obbligo non previsto dall'ordinamento.
La prova della revoca del mandato
Secondo il Consiglio nazionale forense, la revoca del mandato deve essere portata a conoscenza dell'avvocato con modalità idonee a garantire la certezza della comunicazione.
Nel caso di specie, la mancata prova della ricezione dell'email ordinaria ha impedito di ritenere validamente dimostrata la revoca dell'incarico professionale. Di conseguenza, la prosecuzione dell'attività difensiva da parte dell'avvocato non è stata considerata deontologicamente rilevante.
Le conclusioni del CNF
In applicazione di tali principi, il CNF ha escluso la responsabilità disciplinare dell'avvocato, ritenendo non provata la revoca del mandato e disponendo il proscioglimento dall'incolpazione nella parte contestata.
La sentenza n. 139/2025 ribadisce così una distinzione netta tra PEC e email ordinaria e chiarisce che solo strumenti idonei a garantire la certezza della comunicazione possono assumere rilievo ai fini della responsabilità deontologica dell'avvocato.
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