La revoca dell'assegnazione della casa coniugale può essere motivo di revisione, in aumento, dell'assegno di mantenimento o divorzile da corrispondere al coniuge che vi abitava con i figli. Tale circostanza è possibile quando l'immobile ritorni nella piena disponibilità dell'obbligato al mantenimento che ne sia proprietario esclusivo. Infatti, l'immobile già abitato dall'altro coniuge e dai figli, (ormai con non più conviventi), costituisce sia parte del patrimonio e delle sostanze a disposizione dell'obbligato a versare l'assegno sia parte del mantenimento stabilito a favore dell'ex assegnatario.
La Corte di Cassazione con sentenza 7691/2024 ha respinto il ricorso del marito che si era visto aumentare l'assegno da corrispondere alla moglie divorziata in quanto i giudici hanno ritenuto che la ripresa della piena disponibilità della casa familiare, da parte dell'ex marito proprietario esclusivo dell'immobile, costituisse per quest'ultimo un incremento patrimoniale idoneo ad aumentare la disparità economica tra le parti.
La revoca dell'assegnazione era avvenuta a seguito della cessazione della coabitazione tra la madre e i figli maggiorenni economicamente autosufficienti.
La revoca dell'assegnazione, incide negativamente sul diritto dell'ex avente diritto ad abitare la casa stessa, e rappresenta altresì un'utilità economica a favore del coniuge che ne rientra il possesso, utilità che deve essere valutata per stabilire l'iniziale consistenza dell'assegno ottenuto in chiave assistenziale-compensativa. La casa è parte del mantenimento riconosciuto al coniuge assegnatario, quindi quando il godimento del bene viene meno si crea il presupposto per valutare l'eventuale modifica in meglio dell'assegno.
La revoca della casa , costituisce una sopravvenienza valutabile, ai fini dell'accertamento dei giustificati motivi per l'aumento dell'assegno. La casa familiare , indubbiamente rappresenta un elemento economico non solo per l'assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l'altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l'assegnazione all'altro coniuge, non erano consentite.
Sull'efficacia esecutiva dei provvedimenti di assegnazione e revoca dell'assegnazione della casa coniugale, la Suprema Corte ha più volte precisato che il diritto non può venire ad esistenza se non si accompagna all'allontanamento dalla casa familiare dell'altro coniuge. Se manca l'allontanamento da parte dell'altro coniuge, manca la possibilità di esercitare un diritto e manca il diritto stesso, essendo il godimento esclusivo l'unico contenuto della assegnazione. Ciò comporta ai fini esecutivi la sua eseguibilità, tramite l'ufficiale giudiziario, o mediante normale procedura di esecuzione forzata.
Il provvedimento di assegnazione costituisce quindi titolo esecutivo per il rilascio indipendentemente dalla condanna al rilascio, con riguardo alle statuizioni concernenti l'assegnazione della casa coniugale, in quanto avendo funzione di assicurare il godimento dell'immobile destinato ad abitazione familiare, esso ha idoneità a consentire l'immissione nel possesso del ben al coniuge assegnatario, così consentendo di dare attuazione al diritto riconosciuto ovvero alla normale procedura di esecuzione forzata.
Nella prima ipotesi giudice competente per l'esecuzione sarà quello che ha emesso il provvedimento mentre nel secondo caso la competenza si radica in capo al giudice dell'esecuzione.







