Per la Cassazione, l'avvocato stabilito deve agire con l'ausilio di un professionista abilitato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti ai difensori

L'indebito utilizzo del titolo di avvocato

Il Consiglio Nazionale Forense, adito a seguito dell'impugnazione adottata dalla Distrettuale di disciplina di Bologna, aveva confermato la decisione del CDD in ordine ad alcuni procedimenti disciplinari instaurati a carico di un avvocato stabilito.

In particolare, per quanto qui rileva, con i suddetti procedimenti veniva contestato all'allora avvocato stabilito, protagonista della vicenda in esame, di aver violato gli artt. 9 e 36 del Codice deontologico forense (C.D.F.), poiché lo stesso aveva utilizzato indebitamente l'abbreviazione del titolo di avvocato, così come era emerso dal verbale di udienza cui lo stesso aveva preso parte.

Avverso la decisione assunta dal C.N.F., l'avvocato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione.

Come spendere il titolo di avvocato stabilito

La Corte di cassazione, con sentenza n. 2068/2024 (sotto allegata), dopo aver ripercorso i fatti di causa ed i motivi d'impugnazione formulati dal ricorrente avverso la decisione del C.N.F., si è soffermato sulla contestazione oggetto del presente esame avente ad oggetto le modalità di utilizzo del titolo professionale da parte dell'avvocato stabilito.

Sul punto, la Corte ha evidenziato che "il testo combinato dei primi due commi dell'art. 7 del d. lgs. N. 96/2001 (…) è inequivoco nel prevedere, in via principale, che nell'esercizio della professione l'avvocato stabilito è tenuto a fare uso del titolo professionale di origine (…), in modo comprensibili e tale da evitare confusione con il titolo di avvocato, specificandosi, in via rafforzativa, che all'indicazione del titolo professionale l'avvocato stabilito è tenuto ad aggiungere l'iscrizione presso l'organizzazione professionale ovvero la denominazione della giurisdizione presso la quale è ammesso a patrocinare nello Stato membro di origine".

Sul punto, prosegue il Giudice di legittimità, il d.lgs. n. 96/2001 stabilisce altresì che "nell'esercizio delle attività relative alla rappresentanza, assistenza e difesa nei giudizi civili (…) nei quali è necessario la nomina di un difensore, l'avvocato stabilito deve agire di intesa con un professionista abilitato ad esercitare la professione con il titolo di avvocato, il quale assicura i rapporti con l'autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è responsabile dell'osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori".

La suddetta intesa deve inoltre risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito, prima della costituzione della parte rappresentata, ovvero al primo atto di difesa dell'assistito.

Sulla scorta di quanto sopra rappresentato, la Corte ha dunque ritenuto che fosse indubbio l'accertamento, da parte del CNF, dell'avvenuta integrazione delle condotte contestate al ricorrente, con cui lo stesso aveva violato le disposizioni contenute agli artt. 7 e 9 del sopracitato decreto legislativo. Tale circostanza aveva dunque dato luogo, riferisce la Corte, agli addebiti disciplinare allo stesso ascritti e ricondotti alla violazione di cui agli artt. 9 e 36, comma 1, del C.D.F.

La Cassazione ha pertanto concluso il proprio esame rigettando integralmente il ricorso presentato dall'avvocato e confermando gli addebiti allo stesso mossi sul piano disciplinare.

Scarica pdf Cass. n. 2068/2024

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