La Cassazione ricorda che anche dopo la riforma operata dalla legge n. 247/2012, gli onorari devono essere pattuiti a pena di nullità per iscritto, non essendovi stata la tacita abrogazione dell'art. 2233 c.c.

Patto sul compenso dell'avvocato

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La vicenda in esame prende avvio dal ricorso presentato da un avvocato nei confronti di un cliente che si era rifiutato di pagare il compenso richiesto dal professionista, poiché eccepiva che nei confronti dell'avvocato valeva la medesima convenzione operativa e tariffaria sottoscritta con gli altri avvocati di studio ai quali il cliente aveva già corrisposto il compenso richiesto.

Il Tribunale di Monza aveva accolto tale domanda, affermando che era controverso esclusivamente se il compenso professionale dovesse essere determinato secondo i parametri di cui al D.M. n. 55/2014 (come sostenuto dall'avvocato), ovvero in conformità alle tabelle allegate alla convenzione sottoscritta tra le parti (come invece sostenuto dal cliente), mentre, a detta del Giudice di prime cure, risultava pacifico l'espletamento congiunto del mandato da parte dei difensori coinvolti (e quindi anche del ricorrente). A riprova di tale circostanza rilevava il fatto che gli avvocati avevano inviato al cliente le medesime note proforma, il cui quantum veniva determinato sulla base delle suddette tabelle tariffarie.

Infine, aveva proseguito il Tribunale, la dimostrazione circa la correttezza della ricostruzione dei fatti offerta dall'avvocato è tratta dal testo dell'accordo liquidatorio, nel quale era espressamente prevista la possibilità che le relative fatture potessero essere emesse anche dall'avvocato ricorrente.

Avverso tale decisione, il cliente ha proposto ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, contestando, per quanto qui rileva, che la convenzione tariffaria sottoscritta dal solo collega, non era applicabile anche all'avvocato ricorrente in quanto i patti sui compensi professionali intercorsi con lo stesso erano nulli per violazione della forma scritta.

Compenso professionale: forma scritta ad substantiam

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La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 34301/2023 (sotto allegata), ha accolto il ricorso proposto dal cliente nei confronti del proprio difensore, cassando senza rinvio la sentenza impugnata.

Per quanto qui rileva, la Corte si è pronunciata in ordine all'esistenza o meno di un accordo scritto tra le parti avente ad oggetto la regolamentazione dei compensi professionali, tenendo conto della ricostruzione fattuale compiuta dal Giudice del merito.

Al fine di indagare la validità delle modalità di conclusione dell'accordo in esame, la Suprema Corte ha ripercorso l'insegnamento offerto dalla giurisprudenza di legittimità che, sul punto ha formulato "il principio di diritto alla stregua del quale, ai sensi dell'art. 2233, comma 3, c.c. (…) l'accordo di determinazione del compenso professionale tra avvocato e cliente deve rivestire la forma scritta "ad substantiam" a pena di nullità, senza che rilevi la disciplina introdotta dall'art. 13, comma 2, della legge n. 247 del 2012 (…), che, nell'innovare il solo profilo del momento della stipula del negozio individuato, di regola, nella data del conferimento dell'incarico, ha lasciato invariato (…) quello sul requisito di forma, con la conseguenza che, da un lato, l'accordo, quando non trasfuso in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti si intende formato quando la proposta, redatta in forma solenne sia seguita dall'accettazione nella medesima forma e, dall'altro, che la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di perdita incolpevole del documento ex artt. 2724 e 2725 c.c.".

Legge 247/2012 e art. 2233 c.c.

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Pertanto, spiega la Corte, anche successivamente alla riforma dell'ordinamento forense (avvenuta con legge n. 247 del 2012), i compensi per l'attività dell'avvocato devono essere pattuiti per iscritto, a pena di nullità, dovendosi escludere la tacita abrogazione del terzo comma dell'art. 2233 c.c.

La norma in questione impone, infatti, la forma scritta ad substantiam sugli onorari del difensore, stabilendo che l'accordo non si intende raggiunto in mancanza della chiara esteriorizzazione, per iscritto, della comune volontà dei contraenti. In tal senso, sarebbero "idonei a soddisfare il requisito della forma scritta documenti separati, valevoli come proposta e accettazione, provenienti dalle parti e da esse firmati, recanti la disciplina dei compensi, come pure la sottoscrizione per accettazione, da parte di un contraente, del documento recante la regolamentazione degli aspetti economici del mandato professionale predisposto dall'altro".

Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tali requisiti formali non siano stati rispettati nel caso di specie e pertanto la richiesta dell'avvocato non può essere accolta.

Scarica pdf Cass. n. 34301/2023

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