Nel correggere virtuosamente le misure della frequentazione la CA non sfugge a una motivazione discutibile e ad altre diffuse e pesanti aporie

La decisione di primo grado

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Una coppia di coniugi romani, entrambi medici, entrambi benestanti, si presenta al giudice di prime cure per vedere stabilite le regole dell'affidamento dei propri figli, un ragazzo di 13 anni e una bimba di sette, che soffre di disprassia. Non essendoci dubbi sull'idoneità di entrambi i genitori viene stabilito l'affidamento condiviso e, nel solco della tradizione di quel Foro, una presenza largamente prevalente della madre (pernottamenti 20:8 su 4 settimane), presso la quale la figlia è collocata e ha la residenza. Al padre viene attribuito un diritto di visita e l'onere di corrispondere 1350 € al mese. Contro questa decisione il padre propone appello, chiedendo che la frequentazione dei figli sia paritetica e la forma del mantenimento quella diretta. A ciò la madre si oppone, sostenendo che la patologia della figlia la rende non idonea a un affidamento condiviso paritetico e che il dislivello di risorse reddituali e patrimoniali fra i due rende indispensabile l'utilizzazione dell'assegno.

Modelli paritetici di frequentazione

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Viene disposto l'ascolto del primogenito e questi dichiara che preferirebbe potersi dividere fra le due abitazioni in modo paritetico, aggiungendo che sarebbe bene evitare un eccessivo spezzettamento, con "visite" pomeridiane in giorni sparsi, per comprensibili motivi logistici. La Corte (Ordinanza CA Roma, 23 febbraio 2023; V.G. 51362, 2022) lo ascolta con molta attenzione e ne asseconda le richieste. Ne deriva un calendario perfettamente simmetrico, dove non si prevede l'alternanza settimanale presso i genitori, ma questa viene divisa in due parti che si avvicendano ripetendosi nel tempo con struttura costante. Ciò mentre per le vacanze estive si conservano le regole già stabilite. Per giungere a ciò la Corte aveva spazzato via l'obiezione materna che la figlia non avrebbe resistito ad un allontanamento dalla madre così prolungato. Veniva tuttavia disposta, a questo proposito, una consulenza tecnica di ufficio, la quale accerta che la bimba non avrebbe avuto alcuna difficoltà nel sopportare il distacco

L'inversione tra regola ed eccezione nella presenza dei genitori

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Per giungere a questa illuminata, ma poco consueta, formulazione il giudice dell'appello ricorre ad un'ampia citazione giurisprudenziale, rimandando in particolare a varie pronunce della Suprema Corte. Fondamentale tra queste: "In tema di affido condiviso del minore la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice di merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo (Cass. Sez. I 13/02/2020, n.3652)."

Una pronuncia che per essere ben compresa - altrimenti sembrerebbe in contraddizione con il provvedimento - deve essere posta accanto ad altra, più articolata e completa, del 2021 (17221), dove si legge "Secondo il consolidato orientamento di questa Corte il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, devetendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, tuttavia nell'interesse di quest'ultimo il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere (Cass. 19323/2020, Cass. 9764/2019)." Per poi rimandare a quella sopra citata proseguendo: "Per tale ragione, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e alla esplicazione del loro ruolo educativo (Cass. 3652/2020)."

Appare dunque evidente che la mancanza della prima parte del ragionamento può condurre l'interprete a conclusioni opposte alla filosofia dell'affidamento condiviso, ovvero a scambiare l'eccezione con la regola. In concreto a considerare che l'assetto tipico della famiglia separata sia sbilanciato, a genitore prevalente, e la soluzione equilibrata sia residuale e debba essere motivata. Come non di rado avviene nella giurisprudenza di merito; e come a ben guardare è accaduto anche nel caso qui in esame, che approda alla frequentazione paritetica solo dopo che il figlio l'ha esplicitamente richiesta e con piena convinzione.

Del resto, a riprova della difficoltà di adeguamento a una riforma pur risalente al 2006 si continuano ad osservare scivolate verso gli antichi stilemi dell'affidamento esclusivo anche in provvedimenti per alcuni aspetti corretti, come quello qui in esame. Infatti, non solo si continua ad usare una terminologia incompatibile con un affidamento condiviso - come diritto di visita, collocazione prevalente ecc. - ma si "inquinano" con omissioni od elementi spuri le stesse "concessioni" alla bigenitorialità alle quali si era approdati. Ad es., nel caso presente si cita Cass. 9764 /2019, che per l'affidamento condiviso va alla ricerca del "genitore più idoneo". Ovvero non si pensa ad una doppia domiciliazione, così come si svilisce la qualità della relazione tra genitori e figli ritenendo sufficiente che sia di "significativa". E soprattutto si fraintende totalmente la struttura che dovrebbe essere conferita alla forma del mantenimento. Anche perché agli operatori del diritto - non solo magistrati ma anche avvocati - non è tuttora chiaro cosa si debba intendere per "mantenimento diretto".

Diffidenza ed incomprensioni verso il mantenimento diretto

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Cosa che si è verificata anche nel presente caso. La parte aveva invocato che fosse quella diretta, privilegiata dalla normativa in vigore, la quale affida il ricorso all'assegno soltanto a situazioni particolari in cui lo squilibrio delle risorse tra le parti è talmente elevato che anche l'attribuzione degli oneri più pesanti al soggetto più abbiente non basta a compensarlo. Viceversa, nel caso di specie le differenze sono talmente esigue che davvero non si comprende come l'assegno possa trovare giustificazione in esse. Addirittura, pur disponendo il padre di un patrimonio immobiliare leggermente più consistente, se si sottrae il mutuo che il padre deve sopportare per la casa dove abita (mentre la madre assegnataria di quella familiare non ha oneri di tal genere) il reddito del padre si riduce drasticamente fino a diventare di 400 € mensili inferiore a quello della madre.

Tuttavia, la stessa difesa nell'istanza al Tribunale di Roma chiedeva che: "… venga disposto il mantenimento diretto dei figli da parte dei genitori, per i periodi uguali di permanenza dei minori presso di loro, oltre alla suddivisione al 50% delle spese straordinarie per essi e dell'assegno unico per gli stessi". In subordine, inoltre, veniva chiesta la riduzione del contributo al mantenimento mediante assegno da € 1350 a 500, rinunciando alla richiesta del cosiddetto "mantenimento diretto". Con ciò dando prova di fraintenderne i contenuti essenziali, visto che solo la misura, e non la forma, del mantenimento è in relazione con i tempi di frequentazione. Non solo: poiché il mantenimento diretto correttamente e integralmente inteso prevede l'assegnazione per intero di capitoli di spesa (associati ai rispettivi compiti di cura), ovvero di quelle voci che coprono tutti gli oneri prevedibili non legati alla convivenza, risulta mal formulato il riferimento alla divisione al 50% delle spese straordinarie. E la Corte d'Appello, a sua volta, accoglie la richiesta subordinata non rendendosi conto che in tal modo si mette a rischio uno dei diritti indisponibili dei figli minorenni, quello a ricevere cura da entrambi i genitori.

D'altra parte, i malintesi sul mantenimento non sono criticità limitate agli uffici giudiziari della capitale. A puro titolo di esempio, si può rammentare un provvedimento abbastanza recente del tribunale di Genova (31 luglio 2023) ove si legge "… ritiene quindi il collegio che, a parità di condizioni economiche, e a fronte di un pari contributo diretto al mantenimento della figlia e agli oneri alloggiativi non vi siano i presupposti per prevedere alcun contributo al mantenimento della stessa a carico di uno dei due genitori che si faranno carico delle esigenze di vita ordinaria della figlia nei periodi di rispettiva competenza, ferma la suddivisione al 50% delle spese straordinarie relative ai figli da individuarsi secondo il documento di orientamento di cui al verbale di riunione della sezione quarta del tribunale di Genova del 15/9/2016." Un provvedimento dal quale si deduce che anche presso quel tribunale, che ha dedicato al mantenimento una particolare attenzione, convocando anche l'avvocatura per studiare il problema, le idee sono rimaste piuttosto confuse. Addirittura più che presso il tribunale di Roma, avendo posto un ulteriore prerequisito ai fini del mantenimento diretto, ovvero quello della parità di risorse economiche.

Conclusioni

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In definitiva, si osserva che anche presso quei tribunali o Corti di Appello che dimostrano una maggiore attenzione e sensibilità rispetto ai problemi del mantenimento, l'affezione per il precedente modello monogenitoriale è così radicata che anche nei provvedimenti più illuminati se ne riscontrano inequivoche tracce. Tracce che, purtroppo, non riguardano aspetti secondari o marginali, ma i fondamenti stessi dell'affidamento condiviso, i suoi principi ispiratori. Essendo ormai trascorsi più di 17 anni dall'introduzione di quell'istituto e non avendo riscontrato nei successivi interventi normativi (dal decreto legislativo 154/2013 sull'unicità della filiazione al nuovo processo civile) alcun segnale di evoluzione virtuosa verso un maggiore rispetto della ratio legis e dei suoi specifici contenuti, ancora una volta si è indotti a caldeggiare un nuovo intervento legislativo che renda ineludibili le norme già in vigore.


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