Spunti sull'interpretazione degli artt. 2 e 7 l. n. 49/2023, la legge sull'equo compenso

Equo compenso, la legge n. 49/2023

Finalmente, dopo lungo e travagliato percorso legislativo, ha visto di recente l'ingresso nella realtà normativa la c.d. Legge sull'Equo Compenso (L. n. 49/2023, entrata in vigore il 24.5.2023).

Essa rappresenta, seppur con molti aspetti critici - tanto da far aprire di già molti tavoli per la loro risoluzione - un punto fermo nei rapporti tra professionisti e "clienti forti" come individuati nella citata legge. Invero, con la legge in questione si è cercato di risolvere l'annoso problema del rapporto di inevitabile soggezione del professionista al "datore di lavoro forte". Si è visto che un tale contatto andava a snaturare il naturale rapporto contrattuale tra le parti e ciò per le condizioni economiche, quasi sempre, unilateralmente forzate da quello "forte".

Uno dei "punti caldi" della normativa in parola verte sulla interpretazione degli artt. 2 e 7 della legge sull'"Equo Compenso".

Infatti, da più parti si è posto il problema se quell'aspetto, del tutto particolare e nuovo, della possibile acquisizione di esecutività del provvedimento di opinamento se non opposto, sia estensibile anche al rapporto tra professionista e privato.

Dei due citati articoli della legge il primo (art. 2) delimita il campo di operatività della stessa legge e testualmente recita al comma 1: "La presente legge si applica ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d'opera intellettuale di cui all'articolo 2230 del codice civile regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, fermo restando quanto previsto al secondo periodo del comma 3.".

La prima considerazione da fare è riferibile all'incipit del richiamato art. 2, c. 1, laddove espressamente si individua - senza lasciare alcun 1 dubbio interpretativo - l'estensione applicativa delle norme che costituiscono la legge in parola: "la presente legge", quindi, tutto il suo corpo come articolato. Se il legislatore avesse voluto dare spazio ad un diverso approccio interpretativo avrebbe ben potuto omettere la locuzione citata. Sicché con quel dire viene coperta ogni possibile pleonastica e specifica ripetizione (la presente legge) in qualsiasi articolo che costituisce il corpo della medesima. Il richiamo all'art. 12 delle preleggi, sull'interpretazione della legge, può sembrare pedante, ma diventa motivo di opportuna necessità, attesa la prospettata, improbabile, estensibilità del disposto dell'art. 7, avanzata da diversi Ordini Forensi, anche al rapporto professionale con clienti privati.

Orbene, l'art. 7, "Parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo", dispone: "In alternativa alle procedure di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile e di cui all'art. 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011,n. 150, il parere di congruità emesso dall'ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate, se rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e se il debitore non propone opposizione innanzi all'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 281- undecies del codice di procedura civile entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista. Il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l'ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di cui al comma 1 del presente articolo e, in quanto compatibile, nelle forme di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. A parere di chi scrive, prima di ogni ulteriore considerazione è necessario chiedersi se la Legge in questione, e quindi quel corpo normativo, si atteggi o meno a legge speciale.

Tutto il complesso ivi delineato deroga, in presenza di prestazioni professionali che vengano erogate in favore di "clienti forti", agli ordinari modi in cui il primo può conseguire il suo equo compenso. La stessa legge introduce una particolare procedura di vantaggio per il recupero di crediti a favore di professionisti lesi da comportamenti eterodossi dei rispettivi "datori di lavoro".

Lascia impregiudicati gli ordinari modi recuperatori, non li abroga, ma li mantiene operativi, anche nei confronti di quei "clienti forti", lasciando la scelta tra il nuovo speciale sistema e quelli precedenti, non abrogati, come opzione personale che quel professionista potrà fare. Il sistema si arricchisce, quindi, di un nuovo titolo di natura stragiudiziale amministrativa che è speciale rispetto agli ordinari mezzi recuperatori, poiché, se non opposto nei termini e nei modi ivi previsti, acquista esecutività.

Dunque, i profili "specializzandi" sono due: la detta possibilità per quell'opinamento di conseguire l'esecutività qualora non opposto, nonché la sua formazione stragiudiziale. Inoltre, è specifica e particolare l'individuazione del foro competente per l'opposizione. Esso viene espressamente indicato in quello del giudice del luogo della sede del COA (nel caso degli Avvocati), soggetto quest'ultimo, peraltro, estraneo al rapporto tra le parti, derogando così al sistema ordinario. È evidente, quindi, che la specialità della legge di che trattasi si giustifica solo se si considerano quei rapporti economici sociali che vedono nella "parte forte" la possibilità di prevaricazione nei confronti di quella che, nella prestazione della propria opera professionale, possa essere lesa nel suo lavoro con diretto riflesso sulla personale sussistenza materiale e morale. Un tale riflesso non sembra palesarsi nella tendenziale parità di forza contrattuale tra privato e professionista, sicché mal si giustificherebbe una normativa di vantaggio a favore del professionista che ha rapporto con il primo. Si rivendica una maggiore efficienza (riduzione di decreti ingiuntivi, opposizioni, ecc.) dell'apparato giustizia, laddove quel sistema di vantaggio venisse esteso, con una interpretazione che detta notevolissimi dubbi, anche nei confronti dei privati. Su tale estensione potrebbe avanzarsi qualche dubbio di costituzionalità, quantomeno sotto il profilo della irragionevolezza nella assimilazione di situazioni non analoghe. È da osservare, inoltre, che nel sistema delineato dalla L. n. 49/2023 si ha una inversione dell'onere probatorio: la "parte forte" deve dimostrare, con l'opposizione, a fronte della pretesa del professionista che propone l'opinamento, di aver compensato equamente quello. Anche in questo ambito emerge la specialità del "sistema" delineato dalla richiamata Legge. Di contro, nel rapporto professionista-privato è il primo a dover dimostrare di non aver ricevuto il giusto compenso. Se si estendesse anche nei confronti del privato quel regime di vantaggio a favore del professionista, il privato nell'opposizione dovrebbe sostenere un onere della prova che gli sfuggirebbe. Voler sostenere che nella L. n. 49/2023 si abbia un sistema ampio, sì da consentire al professionista di conseguire un provvedimento suscettivo di esecutività anche nei confronti del privato, è, a parere di chi scrive, una lettura non consentita dal dettato normativo se interpretato ai sensi dell'art. 12 delle preleggi.

Di contro, è il senso complessivo della legge a suggerire, secondo gli ordinari mezzi ermeneutici, quella interpretazione - che di certo non può definirsi restrittiva - dettata dal senso comune e dai criteri di cui al citato art. 12 delle preleggi, nonché dall'obiettivo che la medesima si era proposta e si propone: tutelare in un rapporto professionale quella parte che può essere soggetta a prevaricazioni da parte di quella forte.

D'altra parte, voler estendere interpretativamente al rapporto professionista-privati quella possibilità di favore appare quasi come una rivendicazione corporativa; e ciò di per sé sarebbe oltremodo sgradevole.

Un'ultima notazione sulla individuazione della competenza per materia e valore in caso di opposizione: anche qui emerge la specialità della normativa in esame.

Infatti, laddove il rapporto dovesse essere tra professionista e privato dovrebbe rivivere, quantomeno, la competenza del foro del consumatore, sicché la richiesta del possibile d.i. a seguito di opinamento dovrebbe essere proposta innanzi al giudice competente territorialmente secondo l'art. 66 bis C.d.C.

Avv. Antonio Cianfagna Bracone

mail avvcianfagnabracone@tiscali.it


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