Quando è meglio tacere "certi termini" come "bimbominkia". Cosa prevede il codice penale e cosa ha affermato la Cassazione

Quando è meglio tacere certi termini come "bimbominkia"

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Che "bimbominkia" sia un termine "non neutro" risuona già ad un "primo ascolto". Il connubio tra la nota parola volgare e la parola 'bimbo' evoca una sorta di ingenuità mista ad una "incompletezza di sé" che può essere tipica dell'età puerile, dando un 'effetto da contraccolpo'.

Espressione riportata da più enciclopedie. Di seguito, tra le varie, la definizione della Treccani: s.m. (spreg.) nel gergo della rete, giovane utente dei siti di relazione sociale che si caratterizza, spesso in un quadro di precaria competenza linguistica e scarso spessore culturale, per uso marcato di elementi tipici della scrittura enfatica, espressiva, ludica (grafie simboliche e contratte, emoticon ecc.). Il neologismo è di sicuro impatto. L'effetto è garantito, sarà la K a catturare o il sostantivo infantile abbinato alla parolaccia , ma la parola è difficile da dimenticare […].

La parola in esame - esternata sul social - infatti ha richiamato l'attenzione della Suprema Corte a causa dell'episodio che vedeva quale parte offesa un esponente di un'associazione animalista.

Proprio per il ruolo ricoperto - "difensore" del mondo animale, e nel caso in esame, degli orsi - veniva insultato con questo termine su Facebook da un'amica "virtuale" dell'ex Presidente della Regione Trentino Alto Adige (regione spesso al centro dei riflettori per la gestione degli orsi sul territorio).

La parte lesa rivendicava l'offesa presentando querela di diffamazione.

La collocazione dei reati di ingiuria/diffamazione/calunnia

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Non è superfluo - per meglio comprendere il caso in oggetto - ricordare la differenza tra i reati di ingiuria, diffamazione e calunnia.

Prima della legge del 2016, intervenuta depenalizzando il reato di ingiuria, il nostro codice penale era così ordinato.

All'art. 594 c.p. era assegnato il delitto di ingiuria: "chiunque lede l'onore e il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a euro 516". […].

L'art. 595 invece disciplina - ancora oggi - il delitto di diffamazione, affermando: "Chiunque, fuori dai casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l'offesa è arrecata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è inasprita, e la reclusione è innalzata fino ad anni 3.

Si trasforma quindi, di conseguenza, in diffamazione aggravata quando la reputazione altrui viene lesa attraverso lo strumento della stampa, come nel caso de quo.

La diffamazione a differenza dell'ingiuria non necessita, per configurarsi, della presenza del destinatario dell'offesa.

La distinzione dei suindicati reati era basata quindi sulla mera presenza o meno del soggetto passivo al momento in cui si esterna l'offesa alla reputazione dello stesso.

Entrambe le fattispecie erano collocate nel Capo II del Titolo XII del Libro Secondo del Codice Penale: "Dei delitti contro l'onore".

Dal 2016 - come già ricordato - con D.lgs. del 15 gennaio, n. 7, a seguito della depenalizzazione, l'ingiuria non soggiace più alle suindicate sanzioni. Avrà conseguenze soltanto sotto l'aspetto civilistico, e quindi si potrà richiedere solo un risarcimento pecuniario per l'aggressione verbale subita, ma non più una sanzione penale.

Infine all'art. 368 c.p. spetta la disciplina dell'odioso delitto di calunnia: "Chiunque, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato è punito con la reclusione da 2 a 6 anni".

Delitto classificato come plurioffensivo perché lede non soltanto l'amministrazione della giustizia ma anche appunto l'onore, la reputazione, il valore etico e quindi la dignità personale; subentra infatti quando le offese contengono - ingiustamente - l'attribuzione di un reato.

La Cassazione sul temine "bimbominkia"

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Tornando ora all'"offesa Bimbominkia" - dirompente così tanto appunto da far scomodare gli Ermellini - la stessa si inquadra all'interno degli estremi del reato di diffamazione, in quanto assente la persona cui è riferito il termine in esame; e aggravata in quanto l'offesa alla reputazione della stessa si concretizza attraverso il mezzo di comunicazione Facebook.

Respingendo le argomentazioni della difesa, che facevano leva sul diritto di critica, con sent. n. 12826 la Corte di Cassazione Sez. V (dep. 05/04/2022), si è espressa affermando che "non è coperta dal diritto di critica, perché si colloca al di là del requisito della continenza per applicare la scriminante".

Rispetto al principio di continenza possiamo richiamare la precedente sentenza della Cassazione penale n. 14644/2019 che precisa: "l'esercizio del diritto di critica trova un limite immanente nel rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale".

Quindi il termine incriminato non rientra nella scriminante del 'diritto di critica' ex art. 51 c.p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere); in quanto la parola "bimbominkia" risulta offensiva, denigratoria, lesiva della dignità dell'individuo, e pertanto esula dalla libertà tutelata all'art. 21 della Costituzione che garantisce appunto la libertà di espressione, affermando: "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"; ma attenzione alla scelta delle parole.


Foto: Foto di Pete Linforth da Pixabay.com
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