L'effetto preclusivo del termine a difesa nel giudizio direttissimo: la Consulta ne dichiara l'incostituzionalità

Rito direttissimo e termine a difesa: la massima della Consulta

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Con la sentenza n. 243/2022 (sotto allegata) la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi «gli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, del codice di procedura penale

, in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.», ponendo dunque fine alla tormentata questione in materia di giudizio direttissimo la quale, da diversi decenni, limita la scelta degli imputati sottoposti a tale procedimento sul se accedere al rito abbreviato o al patteggiamento ovvero al dibattimento non già nella prima udienza di convalida, bensì alla prima udienza instaurata dopo lo spirare del termine a difesa.

L'assetto normativo e la tesi dottrinale maggioritaria

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Il codice di procedura penale stabilisce all'art. 451, comma 5 che «il presidente avvisa l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444» e, al comma 6, che «l'imputato

è altresì avvisato della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni», prevedendo in particolare la sospensione del dibattimento qualora l'imputato si avvalga di tale facoltà; analoga disposizione è prevista all'art. 558, comma 7 e comma 8, c.p.p.[1]. Dall'utilizzo della locuzione «altresì» contenuta nell'art. 451 citato, infatti, ad avviso di chi scrive e della dottrina maggioritaria[2], deriverebbe la volontà del legislatore di rendere i due istituti (il termine a difesa e l'accesso ai riti premiali) distinti, ma reciprocamente connessi: solo la possibilità di esercitare congiuntamente le due facoltà concesse dal codice determinerebbe l'effettività del diritto di difesa, che altrimenti resterebbe vanificato qualora l'imputato, una volta convalidato l'arresto (specie mentre si trova nella cella e senza che abbia potuto ottenere la traduzione degli atti da parte dell'interprete, come spesso accade), debba scegliere immediatamente se giungere al dibattimento o al rito alternativo.

Il c.d. "diritto vivente" in materia

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La questione è tutt'altro che di rilievo astratto, posto che ben nell'83% dei casi l'imputato sottoposto al giudizio direttissimo decide di accedere all'applicazione della pena su richiesta delle parti[3]. La vexata quaestio, fino a ora sussistente a livello di "diritto vivente" (per riprendere le parole utilizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza citata), non riguardava tanto le modalità e le conseguenze degli avvisi all'imputato previsti dagli artt. 451 e 558 c.p.p.[4], bensì l'impossibilità che questi potesse accedere ai riti alternativi dopo che gli fosse stato concesso il termine a difesa. Al contrario di quanto avviene nella stragrande maggioranza dei Tribunali di primo grado[5], la giurisprudenza di legittimità era quasi esclusivamente orientata nell'escludere che l'omesso avviso della facoltà di chiedere un termine a difesa producesse alcuna nullità qualora l'imputato avesse optato per il rito alternativo, spettando al solo imputato sottoposto al dibattimento la concessione del predetto termine[6]; allo stesso modo, la stessa Corte di Cassazione era uniforme nel ritenere che la richiesta del rito deflattivo dovesse essere proposta prima dell'apertura del dibattimento, pena la sua tardività e, dunque, inammissibilità[7].

Il caso esaminato dalla Consulta e la decisione

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Il Tribunale di Firenze, con ordinanza del 13/05/2021 (pubblicata nella G.U., I^ serie speciale, n. 45 del 2021) ha sollevato la questione di legittimità delle disposizioni in commento per l'asserito contrasto delle medesime con gli artt. 3, 24 e 117, comma 1 della Costituzione, in relazione quest'ultimo all'art. 6, § 3, lett. b) C.e.d.u. e all'art. 14, § 3, lett. b) P.i.d.c.p. Nel caso di specie, l'imputato era stato sottoposto a giudizio direttissimo in seguito alla convalida dell'arresto in flagranza del delitto di cui all'art. 497-bis c.p., il quale, dopo aver richiesto e ottenuto il termine a difesa, all'udienza successiva aveva formulato richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti. Il giudice a quo, domandandosi della legittimità costituzionale dell'orientamento ormai consolidato in materia nella giurisprudenza di legittimità (la cui applicazione avrebbe certamente comportato il rigetto della richiesta del c.d. patteggiamento e la prosecuzione nelle forme del dibattimento), criticava per l'appunto questa «alternativa secca», esercitabile dall'imputato «seduta stante» già alla prima udienza di convalida, tra i due strumenti, in quanto: lesiva del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. in quanto impedente all'imputato di valutare in un periodo di tempo adeguato l'opzione per i riti alternativi; in contrasto l'art. 3 Cost. a causa della irragionevole disparità di trattamento che ne deriverebbe per l'imputato sottoposto al rito direttissimo rispetto a chi sia giudicato sulla base di un diverso rito; in contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 6, § 3, lett. b) C.e.d.u. e all'art. 14, § 3, lett. b) P.i.d.c.p. Il procedimento veniva dunque sospeso, e gli atti rimessi alla Corte costituzionale, la quale con la già citata sentenza n. 243 del 2022, preso atto del consolidato quadro giurisprudenziale di legittimità (già richiamato supra) e delle contingenze soventemente verificatesi nelle aule di giustizia, in occasione della celebrazione dell'udienza di convalida le quali, come noto, sono caratterizzate da tempi piuttosto serrati[8], ha ritenuto dapprima di riconoscere agli avvisi di cui agli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, c.p.p. natura di adempimento inderogabile e imprescindibile in capo al giudice, sia esso collegiale ovvero monocratico, in vista dell'esercizio di essenziali prerogative difensive dell'imputato[9], dichiarando costituzionalmente illegittime le disposizioni prima richiamate rispetto all'art. 24 Cost. ove interpretate nel senso che «la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. ». Ritenne la Corte assorbite le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni de quibus rispetto agli artt. 3 e 117, comma 1 Cost., in relazione quest'ultimo all'art. 6, § 3, lett. b) C.e.d.u. e all'art. 14, § 3, lett. b) P.i.d.c.p.

Conclusioni e prospettive de iure condendo

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La decisone in commento offre una soluzione decisamente condivisibile e da lungo tempo auspicata in dottrina, nei termini sopra esposti, tuttavia nei limiti di quanto ci si accinge ora a concludere il presente scritto. Invero, diverse sono ancora le questioni delle quali sarebbe necessario un ulteriore approfondimento in sede di dichiarazione di legittimità costituzionale[10], specie sempre in materia del termine a difesa previsto dagli artt. 451 e 558 c.p.p., in particolare: l'effetto dispensativo di tale termine[11]; l'irrisorietà del quantum di esso[12]; la mancata previsione in ordine alla facoltà dell'imputato, in occasione dell'udienza successiva allo spirare del predetto termine, di accedere al procedimento di sospensione con messa alla prova[13]. Questioni, ad avviso dello scrivente, che se relegate (come ora) alla risoluzione caso per caso e discrezionale dell'organo giudicante non potrebbero che determinare, con elevata probabilità, un vulnus alla funzione difensiva che la stessa Corte costituzionale ha, invece, in questa occasione encomiabilmente dimostrato di preservare.


[1] Nel caso del giudizio direttissimo di fronte al giudice monocratico, l'art. 558, comma 7 e comma 8, c.p.p. stabiliscono che «l'imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni [e che] quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine … subito dopo l'udienza di convalida, l'imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta».

[2] Si vedano G. Benvenuto Sinfisi, Giudizio direttissimo: il rito dei meno presunti non colpevoli, in Rivista Penale Italiana, Termini Imerese, 2022 (par. 2.4.), S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, Torino, 2012, p. 297, A. Trinci, V. Ventura, Il giudizio direttissimo, Milano, 2013, p. 157, n. 370, A. Natale, Il giudizio direttissimo, in A. Bassi, C. Parodi (a cura di), I procedimenti speciali penali, Milano, 2019, p. 592-593. Si veda contra S. Ramajoli, I procedimenti speciali nel codice di procedura penale, Padova, 1996, p. 127.

[3] G. Mammone, Relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2019, Roma, 2020.

[4] Sulla inesatta od omessa formulazione dell'avviso da parte del giudice all'imputato della facoltà di avvalersi dei riti premiali e della facoltà di richiedere il termine a difesa, la giurisprudenza allo stato attuale considera sanata tale nullità a regime intermedio se non eccepita nel momento immediatamente successivo alla sua manifestazione (Cass. pen., sez. II, 16 giugno 2010, Rhee Hee Cheung, in CED Cass., 2010 e Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 2007, De Vivo, in Dir. pen. proc., 2008, III, p. 364 con nota di A. E. Ricci, Giudizio direttissimo e avvertimenti processuali, ivi). In ogni caso, la Corte con la decisione in esame ha definitivamente risolto anche la questione della inderogabilità di tali avvisi, in senso positivo (si veda infra).

[5] Dall'esame della giurisprudenza di merito emerge che nelle more dell'udienza di convalida e di contestuale direttissimo, prima che venga aperto il dibattimento, è pacifico che il giudice avvisi l'imputato sia della facoltà di richiedere il termine a difesa sia della facoltà di accedere al rito abbreviato ovvero al patteggiamento, così come è pacifico per la difesa chiedere in un primo momento l'assegnazione del termine a difesa e, nelle more dell'udienza alla quale il processo è rinviato, chiedere al giudice di procedere al dibattimento ovvero al rito abbreviato o alla applicazione della pena su richiesta delle parti. Si vedano, ad esempio, Trib. Napoli, sez. V, 26 novembre 2019, in Rivista DeJure, 2020, Trib. Trento, 15 ottobre 2019, ivi, 2020, Trib. Monza, 26 luglio 2019, ivi, 2020, Trib. Terni, 05 giugno 2019, ivi, 2020. Si veda contra Trib. Bari, sez. I, 17 ottobre 2006, in Giurisprudenzabarese.it, 2006.

[6] Cass., sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 14129, in CED Cass., 2019. Nello stesso senso si vedano Cass., sez. IV, 2 marzo 2010, n. 9204, in Dir. pen. proc., 2010, V, p. 550 e Cass., sez. V, 22 novembre 2002, n. 43713, Malatesta ed altri, in Riv. pen., 2004, p. 107. Si vedano anche Cass., sez. V, 18 febbraio 2010, n. 12778, Gludi, in Cass. pen., 2011, V, p. 1854, m. 617, Cass., sez. I, 22 aprile 2008, n. 17796, Salhi, ivi, 2008, VII-VIII, p. 2949, m. 904 con nota di F. Galluzzo, La concessione di termine a difesa nella direttissima esclude l'accesso ai riti premiali?, ivi, p. 2950, e Cass., sez. I, 21 giugno 2001, n. 29446, Carone e altri, in Cass. pen., 2002, V, p. 1761, m. 554. Si vedano, contra, Cass., sez. VI, 19 gennaio 2010, n. 13118, Pignataro, in Cass. pen., 2011, V, p. 1854, m. 616, e Cass., sez. VI, 23 ottobre 2008, n. 42696, La Gatta, CED Cass. penale, 2009.

[7] Cass., sez. VI, 17 settembre 1992, Spasiano, in Mass. Cass. Pen., 1993, II, p. 86. Conformi ad esse sono anche Cass., sez. V, 18 febbraio 2010, Glaudi, cit. e Cass., sez. IV, 18 aprile 2001, n. 903, Cornetta, in CED Cass., 2001.

[8] In particolare, la Corte rilevava nei paragrafi 4.1. e 4.2. del considerato in diritto che: «nel caso del giudizio direttissimo, la scelta dell'imputato di accedere a uno dei riti speciali previsti dalle richiamate disposizioni del codice di rito deve raccordarsi con la disciplina particolarmente serrata dei tempi di instaurazione del giudizio, senza che ciò possa comportare il sacrificio delle essenziali esigenze difensive dell'imputato sull'altare della speditezza dei tempi processuali … non può dunque ritenersi che la scelta del rito debba necessariamente avvenire seduta stante e incognita causa, senza cioè un'adeguata ponderazione delle implicazioni che derivano da tale strategia processuale … proprio al fine della salvaguardia di un imprescindibile spatium deliberandi, il giudice, ove l'imputato ne faccia richiesta, è quindi tenuto a concedere il termine non solo in vista dell'approntamento della migliore difesa nella prosecuzione della fase dibattimentale, ma anche in funzione dell'esercizio consapevole della scelta sull'accesso al giudizio abbreviato e all'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen. … la necessità di una piena garanzia del diritto di difesa, che si traduce nel carattere effettivo della scelta sui riti alternativi per come assicurato dal riconoscimento di condizioni, materiali e temporali, che consentano all'imputato un'adeguata ponderazione della propria strategia processuale, vale a maggior ragione in un rito, quello direttissimo, segnato, come detto, da un rapido avvicendamento delle fasi processuali … basta considerare, al riguardo, come il rapido susseguirsi delle fasi processuali del giudizio di convalida dell'arresto e dell'instaurazione del giudizio direttissimo, seppure consente di "pervenire con immediatezza all'accertamento di responsabilità penale dell'imputato" (sentenza n. 41 del 2022), può risolversi, talvolta, anche in uno spazio di poche ore, il che rende non infrequente che l'imputato non sia assistito dal difensore di fiducia, e che si trovi, inoltre, a dover compiere la scelta sul rito senza disporre di alcun apprezzabile lasso di tempo, quando non in modo addirittura istantaneo».

[9] Si veda il paragrafo 3.1. della sentenza del considerato in diritto, ove la Corte rileva che: «entrambi tali avvisi si collocano in una fase caratterizzata da una marcata contrazione dei tempi processuali, sia che essa consegua immediatamente alla convalida dell'arresto (art. 449, comma 1, cod. proc. pen.), sia che essa venga attivata negli altri casi previsti dal codice di rito (art. 449, commi 4 e 5, cod. proc. pen.) … proprio tale contrazione, del resto coessenziale ad un rito contrassegnato da esigenze di celerità e speditezza, rende non sempre agevole distinguere nettamente la fase preliminare al dibattimento da quella propriamente dibattimentale, tanto più nell'ipotesi in cui - come nel giudizio a quo e nella maggior parte dei casi - il giudizio direttissimo sia immediatamente conseguente al giudizio di convalida dell'arresto».

[10] Si veda in tale senso G. Benvenuto Sinfisi, Giudizio direttissimo: il rito dei meno presunti non colpevoli, in Rivista Penale Italiana, cit., 2022.

[11] La facoltà riconosciuta al difensore di accedere ai fascicoli in pendenza del termine a difesa non deve di per sé essere sufficiente a dispensare il PM dal notificare all'indagato l'avviso di fissazione dell'udienza, viceversa dovendosi rilevare una lesione del diritto di difesa che si consumerebbe prima dell'apertura del dibattimento, e che non potrebbe essere recuperata a giudizio ormai instaurato. Si consideri, peraltro, che nel frangente della fase c.d. "predibattimentale" del procedimento direttissimo, si fosse in dottrina obiettata la difficoltosa (se non impossibile) operatività dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6, c.p. sull'integrale restituzione o riparazione del danno e sull'eliminazione o riduzione delle conseguenze del reato «prima del giudizio» (Cass., sez. II, 23 ottobre 1990, Pusceddu, in Riv. pen., 1991, p. 629), così come che taluni avessero persino avallato la tesi secondo la quale il divieto del colloquio ex art. 104, commi 3 e 4, c.p.p. potesse legittimamente trovare applicazione anche nel rito direttissimo, posto che l'imputato avesse potuto ottenere il termine a difesa e stabilire un colloquio con il difensore in un momento successivo (A. Chiliberti, F. Roberti, G. Tuccillo, Manuale pratico dei procedimenti speciali, Milano, 1994, p. 529-530, n. 134.). Si vedano, sul punto, G. Benvenuto Sinfisi, Giudizio direttissimo: il rito dei meno presunti non colpevoli, in Rivista Penale Italiana, cit., G. Spangher, I procedimenti speciali, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, 2010, p. 546, S. Allegrezza, I giudizi direttissimi fra codice e leggi speciali, cit., p. 242 e A. De Caro, Il giudizio direttissimo, Napoli, 1996, p. 161.

[12] Il termine a difesa concedibile è previsto solo nella misura massima, ossia dieci ovvero cinque giorni, che non consentirebbe alla difesa di esperire appieno al suo mandato e alla individuazione della idonea strategia difensiva, specie quando occorrano lo svolgimento di investigazioni difensive ex artt. 391-bis ss. c.p.p. Peraltro, tutt'altro che remoto si palesa il rischio che, dalla mancata predeterminazione del termine minimo da parte del legislatore, l'organo giudicante si senta legittimato a concedere un termine a difesa ad horas. Seppur obiter dictum, la decisione della Corte costituzionale in commento da conto dell'esiguità del termine a difesa così come sollevato dall'ordinanza di rimessione (si veda il par. 3.2., su quanto ritenuto in fatto).

[13] Infatti, nulla è previsto nell'art. 451, comma 5, c.p.p. con riferimento alla sospensione del procedimento con messa alla prova, posto che il legislatore del 1988, nel prevedere la disciplina degli avvisi, si era limitato a estendere tale formulazione al giudizio abbreviato e al c.d. patteggiamento.

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