Ipotesi particolare della responsabilità ex art. 96 c.p.c., la giurisprudenza di Cassazione e quella di merito in materia

L'ipotesi

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Può il rappresentante legale di una società inattiva o incapiente formulare e/o reiterare istanze ovvero introdurre giudizi esclusivamente preordinati al solo scopo di aumentarne le probabilità di accoglimento?

La risposta

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E' ovviamente negativa anche per i principi elaborati in tema di abuso del processo; in tali ipotesi si può chiedere la condanna al pagamento delle spese di lite nei confronti del rappresentante legale personalmente - ovvero in solido con la rappresentata - ex art. 94 c.p.c.

La ratio della norma

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Come rilevato dalla dottrina più autorevole, la condanna in proprio dei rappresentanti è fattispecie derogatoria al canone oggettivo della soccombenza, volta ad improntare la regolamentazione delle spese ad un criterio di responsabilità personale del litigator imprudenteassimilabile alla ratio sottesa alla responsabilità aggravata ex art. 96.

La giurisprudenza della Cassazione

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L'art. 94 cod. proc. civ., il quale contempla la condanna alle spese nei confronti dell'avversario vincitore, eventualmente in solido con la parte, del soggetto che la rappresenti (e, quindi, come nella specie, anche dell'amministratore di una società), si giustifica con il fatto che il predetto, pur non assumendo la veste di parte nel processo, esplica pur tuttavia, anche se in nome altrui, un'attività processuale in maniera autonoma, conseguendone l'operatività del principio della soccombenza; tale condanna postula la ricorrenza di gravi motivi, da identificarsi in modo specifico dal giudice, per la loro concreta esistenza, nella trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 cod. proc. civ. ovvero nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96, secondo comma, cod. proc. civ. (Cass. 20878/2010; conf. Cass. 9203/2020).

La giurisprudenza di merito

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Il Tribunale di Fermo, ad esempio, nel rigettare una opposizione di terzo all'esecuzione per manifesta infondatezza in quanto avanzata dal debitore e non dal terzo, ha condannato l'amministratrice dell'opponente in proprio al pagamento delle spese di lite in quanto, nel tentativo di argomentare la propria opposizione, aveva peraltro depositato una copia di un atto pubblico con aggiunte apocrife.

Del resto è pacifico che il debitore esecutato è privo di legittimazione ad agire ex art. 615 c.p.c. al fine di contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, qualora il motivo di opposizione proposto sia diretto a far rilevare che è stato posto in vendita

un bene che non è di sua proprietà.

In questa vicenda, oltre alla manifesta infondatezza, ricorreva anche la violazione personale ex art. 96 cpc dei doveri di correttezza e buona fede dell'amministratrice che avere artefatto la presunta copia dell'atto pubblico ritenuto decisivo.


Avv. Fabio Olivieri

via Ischia I 305, Grottammare (AP)

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