Gli articoli 494 e 523, comma 5, del codice di procedura penale disciplinano rispettivamente la facoltà dell'imputato di rendere dichiarazioni spontanee ed il suo diritto ad avere la parola per ultimo

Articoli 494 e 523 codice di procedura penale

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Gli articoli 494 e 523, comma 5, del codice di rito penale disciplinano, rispettivamente, la facoltà dell'imputato di rendere dichiarazioni spontanee ed il suo diritto ad avere la parola per ultimo.
L'art. 494, comma 1, c.p.p., dispone che, esaurita l'esposizione introduttiva, il Presidente informa l'imputato che ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale.

Se nel corso delle dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione, il Presidente lo ammonisce e, se l'imputato persiste, gli toglie la parola. Le dichiarazioni spontanee dell'imputato sono riprodotte integralmente nel verbale di udienza, ma il Giudice può disporre che il verbale sia redatto in forma riassuntiva, prosegue il 2° comma dell'art. 494 c.p.p.

L'art. 523, comma 5, del codice di procedura penale, a sua volta, afferma che in ogni caso l'imputato (come pure il suo difensore di fiducia) deve avere, a pena di nullità, la parola per ultimo, se la domanda.
La Corte Suprema di Cassazione ha osservato che le dichiarazioni difensive dell'imputato sono rimesse al suo potere discrezionale, essendo titolare dello ius dicendi et postulandi e potendo articolare come meglio crede la sua difesa (così Cass. pen., Sez. V, 08/01/1999, n. 4384).
Il diritto a rendere dichiarazioni spontanee nel corso del dibattimento spetta esclusivamente ed in via personale all'imputato
che sia fisicamente presente all'udienza: i Giudici di piazza Cavour hanno ritenuto legittimo il provvedimento del Giudice di merito di rigetto dell'istanza di rendere dichiarazioni spontanee in videoconferenza, avanzata da un imputato contumace residente all'estero (v. Cass. pen., Sez. feriale, Sentenza, 01/08/2013, n. 35729).

Avvertimento all'imputato della facoltà di rendere dichiarazioni

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L'imputato ha il diritto di essere avvertito dal Presidente (o dal Giudice monocratico) della facoltà che ha di rendere in ogni stato e grado del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune e di avere (unitamente al proprio difensore di fiducia) la parola per ultimo, se la domanda (v. Corte d'Appello Perugia, 19/01/1993).
I Supremi Giudici hanno affermato che il mancato avvertimento rivolto all'imputato, al termine dell'esposizione introduttiva o al momento della costituzione in giudizio dell'imputato contumace (oggi assente), della facoltà di rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni costituisce una mera irregolarità e non una violazione del diritto di difesa idonea ad integrare una nullità (Cass. pen., Sez. III, 24/09/1997, n. 9981).

Nullità prevista in caso di mancata concessione all'imputato

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La nullità prevista dall'art. 523, comma 5, c.p.p., nel caso in cui all'imputato non venga concessa la richiesta parola per ultimo, dev'essere immediatamente dedotta, essendo ricompresa nel novero di quelle relative, intervenendo al momento dell'ultimazione dell'istruttoria dibattimentale (cfr. Cass. pen., Sez. III, Sent., 14/07/2010, n. 35457).
Anche in tema di giudizio abbreviato il rigetto della richiesta dell'imputato di rendere dichiarazioni spontanee determina una nullità relativa, e non assoluta, cosicché la stessa deve essere immediatamente eccepita, ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen. (cfr. Cass. pen., Sez. I, Sentenza, 25/09/2018, n. 50430).
Nel caso in cui, in sede di impugnazione, venga dedotta la mancata verbalizzazione della richiesta dell'imputato di prendere la parola per ultimo, non si produce la nullità della sentenza se non vengono specificati nell'atto di gravame il contenuto delle richieste non verbalizzate ed il pregiudizio derivato dal loro mancato esame. La nullità, infatti, può derivare dal mancato accoglimento della richiesta dell'imputato di prendere per ultimo la parola (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 05/11/2003, n. 48525; Cass. pen., Sez. IV, 18/09/2003, n. 43355; Cass. pen., Sez. VI, 17/02/1997, n. 4911).
È tardiva l'eccezione di nullità formulata solamente con l'atto di appello nel caso in cui il provvedimento reiettivo della richiesta dell'imputato di prendere la parola per ultimo venga emesso in udienza in presenza sua e del difensore. Trattasi, infatti, di eccezione che va formulata immediatamente in udienza, pena la sua tardività.

Disciplina nei procedimenti in camera di consiglio

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L'imputato (così come il suo difensore di fiducia) ha il diritto di prendere la parola per ultimo, in caso di sua richiesta, solamente in dibattimento e non in sede di impugnazione delle misure cautelari, in quanto la disposizione di cui all'art. 523, comma 5, del codice di procedura penale non trova applicazione nei procedimenti in camera di consiglio (v. Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 12/04/2016, n. 19200; Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 02/02/2011, n. 12482).
Nella discussione orale in camera di consiglio, infatti, trattandosi di una procedura più snella, la nullità consegue solo nell'ipotesi prevista dal combinato disposto dei commi 3 e 5 dell'art. 127 c.p.p. qualora il difensore comparso non sia sentito dal Giudice, restando quindi irrilevante l'ordine degli interventi (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 26/01/2005, n. 9250; Cass. pen., Sez. VI, 26/01/2005, n. 128).
Diverse sono la struttura e la finalità della procedura camerale, che ha natura incidentale, strumentale e provvisoria (ovvero allo stato degli atti), da quelle del dibattimento, che rappresenta il momento della piena cognizione ed ha carattere definitivo (così Cass. pen., Sez. VI, 28/04/1995, n. 1626).

Assoluta necessità di assunzione di nuove prove

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La facoltà dell'imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione, va coordinata con la disposizione di cui all'art. 523, comma 6, c.p.p., secondo cui l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dall'assoluta necessità di assunzione di nuove prove. Ne consegue che, in detta fase, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve considerarsi insussistente la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, Sentenza, 02/03/2021, n. 16677).

Mancato esame dell'imputato

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Nel caso in cui l'imputato renda ampie dichiarazioni spontanee non si produce alcuna nullità del procedimento qualora non abbia luogo il suo esame (richiesto e ammesso), senza alcuna riserva alla dichiarazione di chiusura dell'istruzione dibattimentale, dovendosi in tal caso ritenere che abbia implicitamente rinunciato (cfr. Cass. pen., Sez. I, 03/07/1998, n. 9628).
L'esame dell'imputato si configura come mezzo di prova rimesso alla disponibilità della parte. Conseguentemente l'imputato, qualora detto esame sia stato richiesto ed ammesso, deve manifestare il suo interesse alla effettiva assunzione dello stesso, opponendosi, se del caso, alla chiusura del dibattimento a pena di implicita rinuncia all'incombente (così Cass. pen., Sez. VI, 24/09/1996, n. 09712).
Non si realizza alcuna nullità (e nemmeno violazione del diritto di difesa), infatti, nel caso in cui nel dibattimento di primo grado venga chiusa l'istruttoria nel silenzio delle parti, senza procedere all'esame dell'imputato, che ne aveva formulato espressa richiesta, in quanto l'imputato può chiedere in ogni momento di rendere dichiarazioni (cfr. Corte d'Appello Lecce Taranto, sentenza, 12/07/2019, n. 799).


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