Per la Cassazione, nel giudizio di opposizione avverso la liquidazione dei compensi del difensore in regime di gratuito patrocinio il giudice deve decidere 'causa cognita'

Opposizione a liquidazione compensi difensore nel gratuito patrocinio

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Accolto il ricorso dell'avvocato che si è visto negare una voce del compenso spettante per l'attività svolta in difesa di un cliente in regime di gratuito patrocinio. Il giudice innanzi al quale un difensore presenta un ricorso per opporsi alla liquidazione del compenso non può rigettarla adducendo l'assenza di documentazione in grado di dimostrare lo svolgimento dell'attività per la quale gli è stato negato il compenso. Costui infatti ha il potere dovere di verificare i documenti presenti nel fascicolo a sua disposizione o di chiederne copia. Questa una delle due importanti delucidazioni fornite dalla Cassazione in materia di patrocinio gratuito nella sentenza n. 23133/2021 (sotto allegato).

La vicenda processuale

Il Tribunale respinge l'opposizione avanzata da un avvocato contro il decreto che ha disposto la liquidazione dei compensi relativi al gratuito patrocinio. Il giudice ha negato in particolare la spettanza delle voci relative alle istanze di autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio che il legale aveva avanzato per un cliente sottoposto a sorveglianza speciale con divieto di allontanamento dal Comune di dimora.

Il giudice poteva controllare i documenti nel fascicolo o chiederne copia

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L'avvocato soccombente ricorre in Cassazione sollevando due motivi.

Con il primo denuncia la violazione dell'art. 83 Dlgs n. 115/2002 e dell'art. 15 comma 5 del dlgs n. 150/2011 perché il Tribunale ha respinto la liquidazione adducendo la mancata produzione della documentazione relativa all'istanza presentata dal difensore. Per il ricorrente infatti il giudice aveva in realtà due alternative:

  • liquidare il compenso, visto che poteva reperire la documentazione che gli occorreva nel fascicolo a sua disposizione;
  • richiedere copia dei documenti necessari considerato che il giudice ha il potere dovere di acquisire quanto gli occorre per la liquidazione.

Con il secondo motivo invece contesta la violazione di diverse norme, dolendosi in sintesi dell'affermazione secondo cui le richieste di allontanamento al domicilio non possono considerarsi attività difensiva trattandosi di attività che la parte può svolgere personalmente.

Il giudice ha il potere-dovere di reperire i documenti o chiederli

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La Cassazione, ritenendo fondate entrambe le doglianze le accoglie, così motivando la propria decisione.

In relazione al primo motivo gli Ermellini precisano prima di tutto che il ricorso contro il provvedimento di liquidazione del compenso per il patrocinio gratuito non è una impugnazione, ma introduce un giudizio nuovo e in secondo luogo che il giudice ha "il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, essendo la locuzione -può- in tale contenuta in tale norma da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere dovere di decidere -causa cognita-, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova."

Nel caso di specie quindi il giudice poteva reperire in autonomia le istanze presentate dal difensore e contenute nel fascicolo, verificando in questo modo sia il se che la misura del compenso spettante al difensore, o chiedere i documenti e le informazioni che gli occorrevano ai fini della decisione.

Per quanto riguarda invece il secondo motivo la Corte precisa che, come si evince dalla normativa del gratuito patrocinio, il cliente ha tutto il diritto di farsi assistere da un difensore, anche se alcune della attività possono essere compiute personalmente. Per la legge, infatti, anche quando l'assistenza del legale non è obbligatoria il cliente può comunque farsi assistere da un avvocato, nel pieno rispetto del principio di difesa sancito dall'art, 24 della Costituzione, valido e applicabile anche quando il cliente è sottoposto a sorveglianza speciale. Errata quindi in diritto e del tutto incoerente la decisione del giudice. La Suprema Corte cassa quindi la decisione e dispone il rinvio al Tribunale competente, nella persona di un diverso magistrato.

Scarica pdf Cassazione n. 23133/2021

Foto: 123rf.com
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