Il parere dell'Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia Europea sulla eccepibilità delle clausole vessatorie nella fase della esecuzione forzata

Giudice dell'esecuzione e clausole vessatorie

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Il Tribunale di Milano ha avanzato presso la Corte di Giustizia Europea la domanda di pronuncia pregiudiziale con cui ha chiesto di verificare la compatibilità della direttiva europea 93/13/CEE (in particolare l'art. 6 par. 1 e l'art. 7 par. 1 che statuiscono la nullità delle clausole c.d. "vessatorie" contenute nei contratti dove una delle parti è un consumatore) con il diritto italiano nella parte in cui quest'ultimo impedisce al giudice dell'esecuzione di verificare, per la prima volta, l'eventuale vessatorietà di un contratto posto a fondamento di un decreto ingiuntivo non impugnato nei termini di legge (cause C - 693/19 e C - 831/19).

Le conclusioni dell'avvocato generale della Corte Ue

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Nell'ambito del procedimento innanzi descritto, lo scorso quindici luglio, sono state quindi presentate le conclusioni del nominato Avvocato Generale della Corte; il quale ha considerato come un impedimento alla effettività della normativa europea in materia di clausole vessatorie, la circostanza che il giudice dell'esecuzione non possa verificare l'eventuale abusività del contratto sottoscritto dal consumatore, quando tale verifica non sia stata nel concreto condotta nel pregresso procedimento deputato all'emissione del provvedimento monitorio.

Volendo sintetizzare al massimo e senza presunzione di esaustività il ragionamento articolato dal Procuratore della Corte Europea, si potrebbe sostenere che quest'ultimo, pur riconoscendo la fondamentale importanza che l'intangibilità del giudicato svolge in tutti sistemi processuali (si pensi ad esempio alla garanzia della certezza del diritto), ritiene comunque che tale principio possa (e debba) cedere allorquando ciò sia necessario a garantire la reale tutela dei consumatori in conformità alla direttiva 93/13/CEE. Alla luce di questo, gli ordinamenti interni avrebbero sì la possibilità di stabilire quando debba avvenire il controllo giudiziale sulla liceità delle clausole sottoscritte dai consumatori, ma di certo non possiedono quella di precludere del tutto tale fondamentale verifica.

A parere del Procuratore, se l'accertamento di vessatorietà dei contratti consumeristici non si esplica nelle more del procedimento dedito all'emissione del decreto ingiuntivo, allora il detto controllo potrà (e dovrà) avvenire, per la prima volta, nella successiva fase processuale anche se tipicamente dedicata solo alla regolamentazione dell'esecuzione forzata.

Di sicuro, il punto di vista espresso dal Procuratore Generale, nella misura in cui si propone di salvaguardare i diritti transnazionali dei consumatori di fronte agli artefatti processualistici che potrebbero escogitare i singoli ordinamenti interni, risulta lodevole, condivisibile e pure opportunamente motivato. Ove però, i principi giuridici innanzi rappresentati, venissero accolti, confermati e cristallizzati dalla giurisprudenza europea e poi interna, di certo non mancheranno problemi circa la loro specifica applicazione e armonizzazione con le disposizioni attualmente vigenti. Ad esempio, sarebbe naturale chiedersi se pure il decreto ingiuntivo emesso senza alcuna analisi sulle cause di nullità del diritto dedotto (o altra questione) rilevabile d'ufficio, ancorché diversa dalla vessatorietà ex direttiva 93/13/CEE, qualora non opposto nei modi e nei termini di legge, possa essere ugualmente censurato in sede di opposizione all'esecuzione. Altra questione potrebbe essere quella relativa alla possibilità che anche la sentenza di primo grado emessa in contumacia del consumatore, per cui sono ormai scaduti i termini per proporre appello, possa essere ridiscussa nella fase dell'esecuzione forzata quando il primo giudice non abbia statuito sulla vessatorietà delle clausole contrattuali o comunque su altre questioni rilevabili d'ufficio.

Opportunità di riflessione

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Gli esempi appena indicati, fanno luce su un aspetto forse trascurato nel ragionamento svolto dal Procuratore della Corte Europea: ovvero la difficoltà di ricondurre sullo stesso piano un basilare principio di tipo processuale (l'inamovibilità del giudicato) e una disposizione sostanziale posta a protezione di diritti di notevole rilevanza al fine di realizzare un opportuno bilanciamento tra i due. A ben vedere, l'individuazione del momento in cui una decisione giurisdizionale diventa inamovibile, rappresenta la sintesi astratta e generale tra la necessità di riparare ad un illecito e la creazione di rapporti sociali stabili e affidabili.

Per questo motivo, le preclusioni introdotte nell'iter processuale, normalmente non sono influenzate dallo specifico diritto sostanziale che il processo stesso è chiamato ad attuare.

Nondimeno, appare di notevole interesse ragionare sulla opportunità di spostare in avanti, in particolari situazioni, gli effetti del passaggio in giudicato onde consentire la maggiore tutela di fondamentali beni giuridici. Affinché però ciò avvenga senza creare inaccettabili disparità di trattamento normativo, è necessaria una seria riflessione sul tema, che non si limiti al singolo caso del decreto ingiuntivo fondato su un rapporto affetto da vessatorietà, ma che tenga conto quantomeno di tutte le ipotesi in cui un giudice abbia statuito senza tenere conto di questioni rilevabili d'ufficio.

Avv. Marco Capone

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